È la marcia della disperazione. Operai con i sindacati metalmeccanici Fim, Fiom e Uilm, a piedi sotto la pioggia per quattro chilometri, dall’ex Ilva fino al municipio, per chiedere al governo una vera svolta, un intervento concreto ed evitare la chiusura del siderurgico, che pare non essere mai stata così vicina. Chiedono «rispetto», gridano slogan con le parole «ambiente, salute e occupazione». Era da novembre 2022 che i lavoratori non manifestavano in città.
Il gigante malato
A tredici anni di distanza dal sequestro dell’intera area a caldo legato alla maxi-inchiesta sul siderurgico per disastro ambientale, inquinamento e avvelenamento di sostanze alimentari, nonostante decine di decreti d’urgenza dei governi che si sono succeduti, la situazione dell’ex Ilva pare solo peggiorata. Si lavora con un altoforno soltanto e malandato. Un altro è sotto chiave a causa di un incendio. La produzione è al minimo storico. L’azienda è in amministrazione straordinaria, coi conti in rosso, perdite mensili milionarie e una richiesta di cassa integrazione per oltre 4400 addetti (di cui 3800 a Taranto) su un organico di poco meno di 8mila lavoratori diretti.
E se a gennaio scorso c’erano ancora player internazionali come Jindal e gruppi minori come gli azeri di Baku Steel tra le aziende interessate a rilevare gli impianti e dargli un futuro, ora in corsa per l’intero gruppo ci sono solo due fondi americani che hanno presentato un’offerta a dir poco simbolica e piani da macelleria sociale con tagli nell’ordine del 70-80 per cento della forza lavoro.
Il confronto
Per i sindacati quel bando, visti i risultati, è da annullare. Il 28 ottobre ci sarà un vertice a Palazzo Chigi per fare il punto col governo. E proprio all’esecutivo nazionale i sindacati metalmeccanici chiedono ora un progetto industriale serio, con un intervento massiccio dello Stato che garantisca la decarbonizzazione della produzione ed il ripristino di luoghi di lavoro sicuri e dignitosi. L’alternativa, spiegano, è la chiusura. E alla stessa conclusione si arriverebbe col cosiddetto spezzatino, cioè la vendita degli impianti di lavorazione a freddo del Nord, i più appetibili, che lascerebbe a Taranto le macerie dei vecchi altoforni da bonificare.
«Gli operai chiedono solo di tornare a lavorare, non è giusto dipingerli come quelli che vogliono stare a casa con i sussidi», dice Valerio d’Alò, segretario nazionale di Fim Cisl. Per De Palma, segretario generale di Fiom Cgil, l’unica strada è l’intervento diretto dello Stato, attraverso la nazionalizzazione degli impianti e la gestione pubblica. I lavoratori sono stanchi e stremati dopo 13 anni di vertenza senza eguali in Europa. Per Rocco Palombella, segretario generale di Uilm, «siamo a un punto di non ritorno, si rischia il disastro occupazionale. Il governo deve uscire allo scoperto e prendere in mano la gestione dell’azienda. Non ci sono altre strade. È il momento delle scelte responsabili e definitive».
Solidarietà e vicinanza agli operai anche dal deputato di Fratelli d’Italia Dario Iaia. «Comprendiamo le difficoltà che stanno affrontando da anni, i drammi delle famiglie per l’incertezza. Negli ultimi tre anni ci siamo impegnati per garantire loro stipendi e continuità lavorativa. Il nostro obiettivo rimane quello della completa decarbonizzazione dello stabilimento ed il mantenimento dei posti di lavoro diretti ed indiretti».