Oggi l’ennesimo giorno dell’Ilva. Alle 11.30 il ministro delle Imprese Adolfo Urso incontra di nuovo i rappresentanti degli enti locali, il governatore Michele Emiliano, il presidente della Provincia Gianfranco Palmisano ed i sindaci di Taranto e Statte, Piero Bitetti e e Fabio Spada. Nel pomeriggio, invece, incontrerà sindacati, associazioni d’impresa e rappresentanze datoriali dell’indotto dell’ex Ilva. Il governo preme per un accordo di programma interistituzionale, una sorta di patto sulla decarbonizzazione degli impianti siderurgici. Patto, va detto, stilato solo su basi teoriche, ma senza un preciso piano industriale e sopratutto senza un finanziatore. Gli esperti identificano un investimento da 4 a 12 miliardi per rifare l’Ilva ed il governo ha appena rifatto il bando di gara per il siderurgico, introducendo l’obbligo di decarbonizzare per chi compra gli impianti.
Nel frattempo, però, gli esperti spiegano che il mercato dell’acciaio è cambiato. C’è surplus di produzione e probabilmente l’Ilva ha perso fette importanti di clienti. Urso parla di «giorno della verità», ma a sentire le malelingue, il governo vuol incassare una firma per evitare che gli enti locali facciano ricorso al tar contro l’autorizzazione integrata ambientale di recente rilasciata dal ministero per l’ambiente. Una vera e propria licenza di produzione, che autorizza il siderurgico per i prossimi 12 anni a continuare a produrre acciaio con i vecchi altoforni a carbone, giudicati pericolosi e vetusti, fino ad un massimo di sei milioni di tonnellate annue.
Il piano
Il braccio di ferro su tempi e modalità della decarbonizzazione ed uso di energia e gas non sembra di facile risoluzione. Le posizioni tra governo ed enti locali sono molto distanti. Il governo propone un piano di costruzione di tre altoforni elettrici in 7-8 anni, da affiancare a quattro torri, alte 140 metri, per la prededuzione del ferro (impianti Dri), con cui alimentare gli stessi forni elettrici. E poi una nave rigassificatrice ormeggiata in porto. Un piano ritenuto insoddisfacente dagli enti locali, disposti ad accettare, forse, solo i tre forni elettrici, in sostituzione dei vecchi altoforni e da costruire in un periodo di tempo più breve. Se non si farà a Taranto, il polo del Dri finirà a Gioia Tauro, secondo quanto già annunciato da Urso. Dev’essere costruito al Sud perchè c’è un miliardo pronti dai fondi di coesione. Il sindaco Bitetti ha detto chiaramente di essere disposto a firmare solo un accordo che tutela la salute dei cittadini, l’ambiente ed i posti di lavoro.
Il nodo politico
In molti hanno l’impressione che dietro al dossier Ilva, non bastasse una delle vertenze industriali nazionali più complesse degli ultimi vent’anni, si stiamo consumando anche lotte intestine per la leadership nel centrosinistra e qualche buon mal di pancia nel centrodestra. Sembrano essersi raffreddati i rapporti col governatore Emiliano da parte di Bitetti, che pure fa parte del suo movimento Con e Palmisano, che è vicepresidente regionale del Pd. Il numero uno pugliese aveva forse con leggerezza dato per scontata la firma dell’accordo sulla decarbonizzazione, suo cavallo di battaglia da tempo. Ora sembra che il sindaco ed il presidente della Provincia siano a caccia di una ext strategy col governo senza la benedizione di Emiliano. Secondo il deputato ed il consigliere regionale di FdI Dario Iaia e Renato Perrini «le spaccature all’interno del Pd a livello regionale tra Emiliano e Decaro si stanno ripercuotendo sulla questione dell’ex Ilva. Invece di affrontarla con lucidità, anche alla luce della gravità del contesto e delle esigenze ambientali e di tutela dell’occupazione, si consuma una guerra senza esclusione di colpi». Ed anche nelle forze di governo, Matteo Salvini sembra remare contro, unica voce critica sul bando di cessione degli impianti ed a favore di un ruolo maggioritario dello Stato nella prossima conformazione aziendale.