Una storia infinita per l’ex Ilva. Chiusi i termini delle offerte – dieci, due solo per l’intero asset aziendale, quelle arrivate sul tavolo ministeriale – si apre il confronto sul futuro dello stabilimento tarantino e dei quasi 18mila lavoratori e le loro famiglie. Perché la gara governativa invece di spazzare le incertezze ne ha aggiunte altre, ancora più inquietanti. Il tanto temuto “spezzatino” aziendale sembra una probabilità sempre più concreta, almeno che non s’intraprenda un’altra strada, quella tra l’altro ora invocata dalle organizzazioni sindacali, ovvero quella della nazionalizzazione dello stabilimento.
La richiesta
«Noi non accetteremo mai che si proceda a una vendita a pezzi. Chiediamo che si metta innanzitutto fine alla logorante attesa, in cui vengono lasciati i lavoratori in questo momento, sia quelli diretti per i quali è stato chiesto un aumento inaccettabile delle ore di cassa integrazione» scrivono in una nota Francesco Rizzo e Sasha Colautti dell’esecutivo nazionale Usb. Cassa integrazione che sarà al centro dell’incontro di questa mattina a ministero del Lavoro, nonostante la richiesta di proroga avanzata dai sindacati.
«Inutile che si tenga l’incontro sull’ammortizzatore sociale, in un momento in cui regna sovrana la confusione. Si convochi prima di tutto un confronto a Palazzo Chigi, per poi di conseguenza occuparsi della cassa integrazione e si mettano finalmente in campo strumenti per salvare i lavoratori» evidenziano Rizzo e Colautti che concludono «Prima dell’Ilva si salvino i lavoratori e le loro famiglie».
Intanto, il termine del 26 settembre non era perentorio e il Governo starebbe lavorando alla ipotesi di una cordata d’imprenditori italiani con eventuale partner straniero e il supporto di Cassa depositi e prestiti. La trattativa sarebbe stata già avviata, ma la strada è stretta e i tempi corti.