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Ex Ilva, gli azeri di Baku si ritirano: corsa a due e bando verso la proroga

Si complica la procedura di cessione degli asset dell’ex Ilva. Si ritirano gli azeri di Baku Steel company, che fino a marzo scorso erano ritenuti i migliori offerenti. La loro offerta, molto probabilmente, era più legata ad interessi nel mercato del gas più che a quello dell’acciaio. Le possibilità di futuro per l’ex gruppo siderurgico più grande d’Europa restano affidate agli americani di Bedrock e agli indiani di Jindal, ma il valore di vendita si allontana sempre più da quel miliardo ipotizzato da governo e commissari di Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria, al punto che gli esperti vicini al dossier ritengono che la cessione potrebbe avvenire addirittura ad una cifra simbolica, prossima a zero euro per le condizioni degli impianti.

Anzi, non è escluso che gli offerenti chiedano al governo italiano garanzie economiche, nell’ordine di uno o due miliardi per coprire le garanzie di gestione legate al testo unico per l’ambiente e per i certificati verdi per la CO2. Ieri il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha aperto alla possibilità di prorogare i termini del bando per le manifestazioni di interesse per il siderurgico, che scadono alla mezzanotte di lunedì. Anche la precedente procedura, lanciata a luglio 2024, avrebbe dovuto concludersi a novembre dello stesso anno e subì diversi rinvii rispetto al termine inizialmente previsto, per poi essere di fatto annullata e riaperta.

Alla finestra, a parte i due grandi player internazionali del mercato dell’acciaio, ci sono anche aziende italiane, tra cui il gruppo Marcegaglia, interessate alla così detta ipotesi dello “spezzatino”, cioè ad acquisire solo gli impianti di lavorazione a freddo del Nord Italia, Genova, Novi Ligure e Racconigi, lasciando il polo di Taranto ad altro destino.

Il bando

«Obiettivamente le condizioni di piena decarbonizzazione nel più breve tempo sono stringenti – dice Urso – se i proponenti ci chiederanno dei termini per presentare documenti non credo ci saranno problemi. Le imprese devono prendere atto degli obiettivi e delle limitazioni». Il riferimento è al polo del preridotto di ferro (Dri) e alla nave rigassificatrice a cui Taranto ha detto no. Il polo, quindi, si farà a Gioia Tauro. «Il gas potrà giungere solo via terra per le scelte fatte dal Comune di Taranto – dice Urso – non le contesto ma neanche le condivido».

La scorsa settimana, il ministro ha scritto al sindaco di Taranto Piero Bitetti per prendere atto della posizione di netta contrarietà espressa pubblicamente in più occasioni all’ipotesi di ormeggiare una nave rigassificatrice nel porto ionico. Circostanza ritenuta da Urso un limite alle offerte. Proprio il no alla nave gasiera, secondo fonti vicine al dossier, ha fatto perdere interesse agli azeri, che hanno deciso di spostare gli investimenti previsti su un altro importante asset italiano. Il gruppo Api col marchio Italiana Petroli.

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