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Ex Ilva, con la Manovra taglio da 300 milioni ai fondi per costruire gli impianti del Dri

La scure della Manovra taglia 300 milioni destinati alla decarbonizzazione dell’ex Ilva. Scende da 1,1 miliardi a circa 650 milioni la quota (ex Pnrr poi spostata sul Fondo di Sviluppo e coesione) destinata alla società pubblica Dri d’Italia per costruire il primo impianto di riduzione di ferro per alimentare i futuri forni elettrici del siderurgico. Si tratta del secondo taglio alla dote accantonata, il primo, da 80 milioni, era arrivato con la legge di Bilancio 2025, mentre quello in arrivo è più consistente.

Dopo che la città di Taranto ha già detto no all’insediamento industriale, resta ora da capire se i fondi saranno sufficienti a costruire gli impianti nel porto di Gioia Tauro con gli esigui fondi rimasti. Molto più facilmente, così come consentono le norme recentemente approvate dal governo, Dri d’Italia farà ricorso ad un socio privato per la costruzione e gestione delle gigantesche torri di prededuzione del ferro. Molto probabilmente sarà Invitalia a lanciare una gara l’impianto del preridotto, che sarà quasi certamente alimentato a gas, dopo che ad agosto, con una legge ad hoc, è stato eliminato l’obbligo dell’uso dell’idrogeno da fonti rinnovabili per il Dri.

Il futuro del siderurgico

Martedì prossimo Palazzo Chigi ha convocato i sindacati metalmeccanici per un confronto sul piano per salvare l’ex Ilva. Secondo Maurizio Landini, leader della Cgil, «serve un intervento diretto dello Stato nella gestione dell’ex Ilva». L’altro giorno a Bari il segretario ha fatto i conti in tasca al gruppo, parlando di conti segreti, perdite di circa 65 milioni al mese, con un passivo di 5,4 miliardi.

Per Landini lo Stato ha speso quasi un miliardo e mezzo per mantenere in vita la fabbrica, escluse le spese (200 milioni all’anno) per la cassa integrazione dei lavoratori. Per il ministro delle Imprese Adolfo Urso, la partecipazione dello Stato, socio con Invitalia del colosso ArcelorMittal nella compagine Acciaierie d’Italia finita in amministrazione straordinaria, è stata «un’esperienza assai deludente».

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