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Ex Ilva: c’è l’intesa per l’addio al carbone. Patto governo-enti e sindacati scontenti

Porta la firma di quattro ministri del governo, dei presidenti di Regione e Provincia, del sindaci di Taranto e di Statte, dell’autorità portuale ionica e degli amministratori di cinque aziende della galassia ex Ilva, l’intesa sulla decarbonizzazione del siderurgico, che a Taranto ha il grosso della sua produzione. Non è l’accordo di programma, ci tiene a precisare il sindaco della città dei Due Mari Piero Bitetti, quello arriverà dopo metà settembre e manca ancora un’intesa sul polo del preridotto di ferro (Dri), che gli enti locali non vedono di buon occhio. L’impianto con quattro grandi torri alte 140 metri forse si farà a Gioia Tauro. Ma quello fatto ieri al ministero delle Imprese è già un grande passo avanti se si considera che la mattinata era iniziata col sindaco che non si è presentato a Roma «non firmo nulla, perché andarci?».

Il patto

Questo primo passo avanti vede tutti d’accordo sull’obbligo, per i privati che si faranno avanti per comprare il complesso aziendale, di procedere alla «progressiva e completa decarbonizzazione dello stabilimento attraverso la realizzazione di forni elettrici in sostituzione degli altoforni che saranno gradualmente dismessi in un tempo certo». Arriverà un commissario di governo per esaminare nuove prospettive per la reindustrializzazione delle aree libere, secondo gli indirizzi del “tavolo Taranto”, valorizzando l’indotto. Saranno potenziati l’istituto di ricerche mediterraneo per lo sviluppo sostenibile, anche con laboratori dell’ex Ilva, per la ricerca ambientale e le strutture del porto. Si valuteranno nuove misure in favore dei proprietari degli immobili nel quartiere Tamburi, anche attraverso lo snellimento delle procedure e il rifinanziamento del fondo già esistente, che prevede un risarcimento per i danni e la svalutazione causata dall’inquinamento. Con la transizione green ci saranno sicuramente esuberi. L’intesa prevede misure di politica attiva e passiva del lavoro. Un vero accordo di programma arriverà per predisporre misure per lo sviluppo del territorio: «avrà a oggetto – è scritto – la necessità del territorio della provincia di Taranto e dei comuni di Taranto e Statte di coniugare il soddisfacimento del diritto alla salute, all’ambiente, al lavoro». La prima riunione a tal fine si svolgerà a settembre.

Le reazioni

«Abbiamo sottoscritto un documento, non un accordo di programma – ci tengo a precisarlo dice il sindaco Bitetti – che recepisce le nostre richieste. In nessun passaggio si fa cenno all’ipotesi di approvvigionamento tramite nave gasiera ma anzi si parla di tutela occupazionale, della salute e potenziamento della rete sanitaria locale. A questa giornata attribuisco la giusta importanza perché come pubblicamente dichiarato saranno gli impegni solennemente assunti e i fatti che seguiranno a definire il giudizio che il Comune esprimerà su tutta questa complessa vicenda». Soddisfatto anche il presidente della Provincia Gianfranco Palmisano (Pd). «Si compie un passo concreto verso quella decarbonizzazione dello stabilimento che per troppo tempo è rimasta solo una promessa. La firma del documento rappresenta un momento politico e istituzionale importante, che traduce finalmente in realtà un principio che per noi è stato sempre centrale: riconvertire senza distruggere, tutelare salute, lavoro e ambiente. Abbiamo voluto screening sanitari, garanzie occupazionali e maggior monitoraggio ambientale».

Foto Roberto Monaldo / LaPresse 20-10-2023 Roma

Sindacati scontenti. E gli ambientalisti impugnano l’Aia al Tar

L’intesa lascia insoddisfatti i sindacati metalmeccanici e anche quella parte di Taranto che chiede solo la chiusura della fabbrica e ritiene pericolosi per la salute anche i piani di revamping industriale in discussione. I sindacati chiedono ora un confronto diretto con Palazzo Chigi per ricevere garanzie sul piano occupazionale mentre le associazioni ambientaliste raccolgono i fondi per impugnare al tar l’Aia, l’autorizzazione integrata ambientale rilasciata dal ministero dell’Ambiente che autorizza l’ex Ilva a produrre fino a sei milioni di tonnellate di acciaio annue con l’attuale ciclo produttivo integrale degli altoforni a carbone.

I sindacati

Per Michele De Palma, segretario generale della Fiom Cgil, «l’accordo non garantisce i lavoratori. Non c’è garanzia occupazionale nel testo. Scrivere che c’è un principio di garanzia non significa nulla senza un piano industriale che traduca in numeri l’occupazione. Nell’incontro di settembre a Palazzo Chigi chiederemo al governo responsabilità piena. Partecipazione pubblica di garanzia per i tarantini ed i lavoratori di tutti gli impianti italiani dell’ex ilva». Sulla stessa posizione Fim-Cisl. «La pre-intesa non chiarisce i tempi di realizzazione, le risorse necessarie e le modalità di attuazione del piano industriale», dice Ferdinando Uliano che insiste per la collocazione degli impianti Dri a Taranto.

Gli ambientalisti

Intanto le associazioni Peacelink e Giustizia per Taranto, col movimento Liberi e pesanti hanno annunciato ricorso al Tar contro l’autorizzazione integrata ambientale (Aia) approvata dal governo il 6 agosto scorso. La licenza rilasciata che autorizza per altri 12 anni la produzione annua di acciaio dalle attuali due milioni di tonnellate a sei con gli altoforni a carbone. «È una cosa non accettabile da alcun punto di vista» dice Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink, spiegando di aver raccolto in poche ore circa 5mila euro per sostenere l’iniziativa legale. «Se vinciamo, vinciamo per tutti». Marescotti chiede il fermo immediato «delle emissioni cancerogene, genotossiche, neurotossiche. Un esperimento che non produce profitto ma una perdita di 100 milioni al mese». Le associazioni hanno preparato una lettera indirizzata al governo per il tramite della prefetta Paola Dessì in cui si propone «il passaggio dei lavoratori in esubero da Acciaierie d’Italia a Ilva in As, ente che non si occupa della protezione ma della conservazione dei beni e della bonifica». «Chiediamo che vengano estesi gli obiettivi che possano dare un’occupazione ai lavoratori in esubero quali la riforestazione, la cura del verde pubblico, la riqualificazione del patrimonio edilizio pubblico, interventi di protezione civile per eventi climatici estremi». La stima è di mezzo miliardo l’anno per 10mila lavoratori, «meno della perdita attuale dell’azienda».

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