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Dal Primo Maggio di Taranto la sfida a politica e sindacati: «Sul nostro palco le lotte che non vanno di moda»

«I dubbi che precedono ogni edizione quest’anno sono stati superati dall’impellenza di essere fisicamente presenti, di vincere sulla frustrazione generata da due anni di limitazioni della vita personale e collettiva». C’è tutto il senso di “Uno maggio Taranto libero e pensante” nelle prime righe del documento politico dell’evento che oggi riempirà il Parco archeologico delle Mura greche. Michele Riondino, attore e tarantino, è il deus ex machina di un evento nato dal basso e che si è imposto come tra i più importanti e significativi del Paese.

Michele Riondino, una volta per il primo maggio dal Sud si prendeva l’autobus per Roma, per il concertone dei sindacati di piazza San Giovanni. Ora molti deviano per Taranto.
«È vero e non posso nascondere la mia soddisfazione, che condivido con il Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti. Come detto però sin dalla prima edizione, nel 2013, noi non siamo in competizione con loro. Siamo altro».
Cosa?
«Il catalizzatore delle lotte che non vanno mai di moda. Passano gli anni ma sindacati e partiti continuano a ignorare chi chiede solo di vivere in un ambiente sano, lavorando senza rischiare di perdere la vita».
Taranto ha pagato un conto salato sia sul piano della salute che della sicurezza. Cosa è cambiato in questi anni?
«L’intervento della magistratura ha cambiato la storia di quella fabbrica. Da quando ero bambino siamo stati educati non solo a convivere con il siderurgico ma anche ad immaginare il nostro futuro lì dentro».
Ora è diverso?
«C’è una narrazione che vorrebbe lo fosse ma l’indagine epidemiologica prima, lo studio Sentieri e tutti gli altri dopo, hanno alzato il velo di ipocrisia: l’ex Ilva uccideva».
C’è chi ritiene che non sia più particolarmente dannosa, al punto da poter sfondare il tetto delle sei milioni di tonnellate di produzione all’anno imposto dall’Aia.
«È una follia. Se ha inquinato meno è solo perché ha prodotto in questi anni la metà di prima. È l’ennesima dimostrazione che c’è una correlazione e che è una fabbrica obsoleta su cui non conviene più economicamente continuare a insistere. Soprattutto nell’epoca della transizione ecologica».
Qual è il messaggio che volete mandare al governo?
«Che non può esserci in alcun modo un ritorno all’epoca del carbone e che la guerra non può diventare la scusa per imporcelo. I soldi europei devono servire a migliorare la vita dei cittadini, non a tornare al passato. Taranto dimostra quanto poco coraggio si abbia nel guardare al futuro».
La decarbonizzazione della produzione non sarebbe abbastanza?
«Chi conosce lo stabilimento sa bene che non è attuabile in un impianto così grande. Non solo: costerebbe tantissimo, tant’è che sperano di realizzarla solo per una piccolissima parte della produzione. Se consideriamo che già oggi viene richiesta, da parte dell’azienda, una cassa integrazione per tre mila lavoratori…».
Pagherebbe lo Stato.
«I soldi dei cittadini andrebbero spesi per fare quello che suggerisce anche l’Eurispes: chiudere e bonificare, impiegando i dipendenti, opportunamente formati, nelle attività. Ci sarebbe lavoro per trent’anni. Anche questo lo dice l’istituto di ricerca e tanti altri esperti prima. Non solo io».
Con Diodato e Roy Paci, con cui condivide la direzione artistica dell’evento di oggi, avete messo su una lineup artistica di grande profilo, che va da Gianni Morandi ai 99 Posse. È stato difficile coinvolgerli?
«In realtà sono gli artisti ormai che ci chiamano perché vogliono partecipare. Dopo due anni di pandemia, poi, c’è una grande voglia di contatto con il pubblico. Ricordo che tutti gli artisti che partecipano sposano il nostro documento politico».
Uno maggio Taranto Libero e pensante è sempre più un evento di confronto oltre che di musica. Se lo aspettava?
«L’abbiamo pensato così sin dal primo anno. In questa edizione interverranno persone che hanno fatto della loro vita una scelta di campo, come Cecilia Strada e Aboubakar Soumahoro. Arriveranno poi lavoratori da tutta Italia. Parleremo di Alitalia, di Tap, di Tav, della terra dei fuochi. Saranno con noi i ragazzi di “Xr Extintion Rebellion”. La musica è solo un collante tra tante storie che su quel palco diventano strumento di lotta collettiva».
Se potesse decidere cosa sognare, chiudendo gli occhi, cosa sceglierebbe?
«Di vivere in uno Stato davvero al servizio dei cittadini e non solo dell’economia, in cui i profitti servono a costruire nuovi diritti, non a demolire quelli vecchi».

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