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Avetrana, quindici anni fa l’omicidio di Sarah Scazzi: il ritratto di famiglia nella scena dei media

Sono trascorsi quindici anni da quel 26 agosto 2010, quando Sarah Scazzi fu uccisa. Le sentenze in tre gradi di giudizio hanno condannato la cugina Sabrina Misseri e la zia Cosima Serrano all’ergastolo e lo zio Michele Misseri a otto anni per soppressione di cadavere, gettato in un pozzo cisterna. Dopo aver scontato sette anni, Michele Misseri è tornato a vivere nella casa dove è stato commesso l’omicidio: continua ad autoaccusarsi e a scagionare moglie e figlia, dicendo di averla ammazzata lui in preda a un raptus. Oggi Sarah avrebbe 30 anni. Oggi chi sarebbe Sarah e che cosa farebbe? Che cosa ha pensato quando la morte le è arrivata addosso?

Se lo chiede la giornalista Ilenia Petracalvina, specializzata in cronaca nera e attualità, che dal 1999 lavora in Rai collaborando con vari programmi tra cui “La vita in diretta”, “Donne al bivio”, “Italia sul 2” e “Lo stato delle cose”. In quei giorni seguì tutta la vicenda e ora ha pubblicato un libro (“Sarah. Il delitto di Avetrana tra verità e bugie”, Piemme 2025) che la ricostruisce per intero: i quarantadue giorni di silenzi e depistaggi di chi sapeva, poi il ritrovamento, gli interrogatori e le indagini, l’imputazione e i processi.

Ma soprattutto l’autrice concentra la sua attenzione su quel nesso contorto tra menzogne e informazione, tra un microcosmo familiare capace di costruire e di inscenare la rappresentazione di un’enorme bugia che i media, in qualche modo, ratificavano come verità alternativa che ha condizionato e ancora divide l’opinione pubblica in colpevolisti e innocentisti. «Sarah l’hanno presa, l’hanno presa, l’hanno portata via»: furono queste le parole con cui Sabrina iniziò la messa in scena. L’insinuazione del rapimento, senza che però arrivasse mai una telefonata con richieste di riscatto, creò la suggestione per allontanare dal sospetto i veri responsabili.

Le telecamere erano sparse ovunque e trasformarono il paese in un piccolo “Grande fratello” dove molti tentavano di diventare protagonisti, di avere una parte, anche piccola, pur di farsi vedere. L’assedio di telecamere e cronisti coinvolse e trasformò un’intera comunità, coinvolgendola nel dramma di questa famiglia. Del resto, non poteva che essere così, se è vero che ogni messa in scena che si rispetti deve avere il suo coro e il suo pubblico. Si realizzò qualcosa che potremmo definire, citando il film “The Truman Show”, “The Avetrana Show”: da una parte della realtà c’era il dolore, dall’altra una finzione quotidiana lontana dalla verità.

Per questo Ilenia Petracalvina non fa sconti a nessuno, neppure al mondo professionale cui appartiene: «La responsabilità è di ognuno di noi: da una parte i media, dell’altra i protagonisti della famiglia che hanno reso pubblico un dolore privato, mettendo in scena lacrime di plastica e finti sentimenti».

La giornalista ha raccolto alcune dichiarazioni della mamma di Sarah, Concetta Serrano Spagnolo, che sono indicative del modo di intendere il rapporto tra verità e menzogna in quell’ambiente famigliare: «Sarah mi ripeteva spesso una frase, “Per potere fregare gli altri devi mentire”. Oggi mi chiedo chi le ha messo in testa queste parole. Penso a Sabrina, passavano tanto tempo insieme e penso che mia figlia avrà sentito in quella casa questa frase che poi racchiude perfettamente il comportamento che da anni stanno portando avanti Cosima e la figlia. Ingannare gli altri, mentendo, per poterla fare franca. Mia nipote e mia sorella conoscono la verità. Io ne sono certa. Lo capisco che vogliono proteggersi e per questo mentono ma non le posso giustificare. Se dicessero la verità sarebbe tutto diverso. Sono due donne furbe, ma sono rimaste incastrate dalla loro furbizia».

Il comportamento contraddittorio di Michele si spiega perfettamente alla luce di questo conflitto tra «verità e menzogna in senso extramorale», seguendo esattamente il titolo che Nietzsche diede ad un suo saggio del 1873: perché il “delitto di Avetrana”, oltre ad essere un caso giudiziario e di cronaca nera, andrebbe letto e studiato come un caso filosofico. Michele, accusandosi, diventò dapprima il “mostro”, figura che però non riuscì ad interpretare perfettamente, perché questo significava fare anche di Sabrina e Cosima, a loro volta, le vittime di quel mostro. La sua ritrattazione, facendo ritrovare il telefonino, ruppe il «patto di famiglia», il pactum sceleris che fondava la messa in scena, col racconto di quello che era successo e chiamando in causa sua moglie e sua figlia, che da vittime passarono al ruolo di colpevoli. Il sentimento di aver tradito quel patto di famiglia, lo porterà poi a pentirsi e ad autoaccusarsi ancora una volta, nel tentativo estremo di salvare le due donne di casa.

«In questi quindici anni – dichiara infine Concetta – né Cosima né Sabrina si sono mai fatte vive. Mai un gesto, non ho mai ricevuto nessun segno da parte loro, insomma non mi hanno mai cercata. E il motivo è chiaro: che cosa potrebbero dirmi? La verità no di certo, perché non la diranno mai a nessuno».

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