«Nonostante il tempo concesso ai vertici della Banca popolare di Bari, alla luce dello sciopero del 17 aprile scorso, a distanza di circa un mese, ancora oggi, irresponsabilmente, nessun incontro, né segnale concreto giunge dall’azienda».
È quanto si legge in una nota sono le segreterie Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca e Unisin della Banca popolare di Bari, nella quale sottolineano come, da parte dei vertici aziendali, «è da irresponsabili ignorare il profondo malessere espresso dallo sciopero stesso. Altre iniziative verranno. È urgente aprire una nuova fase. In caso contrario la lotta non si fermerà, andremo avanti con tutti i mezzi a nostra disposizione, con tutti gli interlocutori possibili, in tutti luoghi possibili. Alla BpB, a Mcc la scelta di come proseguire».
Il 17 aprile scorso, scrivono le organizzazioni sindacali, «giorno del massiccio sciopero in Banca popolare di Bari, le lavoratrici e i lavoratori hanno dato un messaggio forte ai vertici aziendali e a quelli della capogruppo Mediocredito Centrale: le attuali condizioni di lavoro non sono più sostenibili e i sacrifici vengono vanificati dall’incertezza del futuro aziendale e dal caos gestionale. Abbiamo aspettato che i vertici aziendali, come da impegno da loro assunto durante l’incontro in presenza del 12 aprile scorso, ci chiamassero per affrontare le problematiche rappresentate. Abbiamo atteso la riunione del CdA della BpB. Abbiamo atteso le nuove nomine nella Capogruppo, ma ancora oggi, irresponsabilmente, nessun incontro, né segnale concreto giunge dall’Azienda».
Diverse le criticità elencate dai sindacati, che vanno da «un’organizzazione del lavoro che non va», insieme ad «un modello distributivo che non funziona», alla carenza di personale.
«Il vero problema è che non c’è ancora un’idea di banca e non si sta facendo nulla per costruire una banca che possa davvero riprendere in mano la propria sorte», sottolineano Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca e Unisin nel rivendicare, tra le altre cose, «che Banca popolare di Bari, Capogruppo, siedano davanti alle Organizzazioni Sindacali per un autentico dialogo sociale e rispettose relazioni industriali, capaci di produrre strumenti condivisi nell’interesse di tutti i soggetti interessati, in un confronto che smetta di essere mera comunicazione di dati contabili, senza mai entrare negli aspetti organizzativi e nelle ricadute sul personale. Se questa idea non si fa largo nella Proprietà, nella dirigenza del gruppo, è difficile pensare ad una pacificazione, è difficile pensare che la mobilitazione si esaurisca», concludono.