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Occupazione femminile, Sabbadini: «Aiutare le donne a fare carriera? Un bene per tutti» – L’INTERVISTA

In occasione del convegno della Società italiana di statistica tenutosi presso l’università di Bari, Linda Laura Sabbadini, chair di Women 2020 ed ex direttrice del Dipartimento per lo sviluppo di metodi e tecnologie per la produzione e diffusione dell'informazione statistica dell’Istat, ha tenuto una lectio magistralis sull’analisi storica delle disuguaglianze di genere in Italia. Nella…

In occasione del convegno della Società italiana di statistica tenutosi presso l’università di Bari, Linda Laura Sabbadini, chair di Women 2020 ed ex direttrice del Dipartimento per lo sviluppo di metodi e tecnologie per la produzione e diffusione dell’informazione statistica dell’Istat, ha tenuto una lectio magistralis sull’analisi storica delle disuguaglianze di genere in Italia.

Nella tua relazione hai evidenziato alcune questioni cruciali per l’occupazione femminile in Italia. Come si può ridurre la disparità?

«Per ridurre la disparità, dobbiamo rilanciare l’occupazione giovanile, dove le donne sono spesso più precarie e sovra-istruite rispetto agli uomini. È essenziale dotarsi di un piano straordinario per l’occupazione femminile, investire nei servizi che permettono di conciliare vita e lavoro come asili nido, tempo pieno e assistenza a disabili e anziani, sviluppare la condivisione delle responsabilità genitoriali, attraverso il congedo di paternità paritario. Questo creerebbe un circolo virtuoso: più posti di lavoro per le donne e meno interruzioni lavorative dovute al carico di lavoro familiare delle donne».

La riduzione del gap occupazionale tra uomini e donne è più il risultato della perdita di lavoro degli uomini che della crescita delle donne?

«Esatto. È stato così dal 2008 a oggi, a differenza della fase precedente iniziata nel 1995 fino al 2008, quando il gap è diminuito per la crescita dell’occupazione femminile. Concordo con Chiara Saraceno: il vecchio sistema di welfare, basato sul lavoro non retribuito delle donne, va completamente ridisegnato. In Svezia hanno iniziato negli anni ‘50, gli altri Paesi si sono mossi, mentre in Italia si è fatto qualcosa negli anni ‘90, ma poi non c’è stata continuità. Si fanno le norme e non si finanziano».

Con il Pnrr, riusciremo a fare riforme strutturali in grado di invertire la rotta?

«Sarà difficile. Già ci sono tagli, ma bisogna spingere perché si faccia. Gli investimenti nei servizi e nell’occupazione femminile non sono costi, bensì investimenti che porteranno crescita, miglioramento della qualità della vita e riduzione delle disuguaglianze. Lo hanno detto sia Bankitalia sia il Fondo monetario. È una strada che dobbiamo percorrere».

C’è anche il problema del gap salariale. Le donne continuano a guadagnare meno degli uomini…

«Purtroppo sì, spesso il divario è ancora più grande di quanto riportato. Il cambiamento deve partire dalle aziende, che devono capire che rimuovere gli ostacoli alla carriera delle donne è vantaggioso. Le imprese che hanno aumentato il numero di donne nei consigli di amministrazione, per esempio, hanno ottenuto risultati di bilancio migliori».

Tra i grandi obiettivi per un futuro sostenibile, la parità di genere occupa un ruolo centrale, come ratificato dall’Agenda 2030 dell’Onu e ribadito dal G20 con l’istituzione del W20.

«Esattamente. Le donne pagano il prezzo della child penality. Più nel nostro Paese che nel resto d’Europa. Se hanno un figlio lasciano il lavoro nel 20% dei casi, sono costrette a ricorrere al part-time, a rinunce di formazione e di incarichi a causa della presenza di figli per la carenza di servizi e scarsa condivisione delle responsabilità familiari. Un nodo centrale posto anche a livello internazionale è l’alleggerimento del carico di lavoro familiare e l’empowerment delle donne. Due punti chiave, centrali».

Cosa ti auguri per il futuro?

«Mi auguro che si riesca a cambiare prospettiva, assumendo la questione di genere come priorità. Siamo convinti che la parità rappresenti la chiave di uno sviluppo sostenibile da perseguire e non rimandabile. È tempo di agire».

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