Ex Ilva, sì dalla Camera al decreto legge. E spunta l’interesse degli ucraini

«Saremo felici di esaminare il dossier. Siamo sempre pronti a investire in Italia, come testimoniano gli impianti già operativi a Verona e Trieste ed il terzo in avvio nel sito di Piombino». Poche parole quelle di Ryzhenkov, alla guida del gruppo siderurgico Metinvest, che danno concretezza alle parole pronunciate negli scorsi giorni dal ministro delle Imprese Adolfo Urso in merito a cinque multinazionali che sarebbero interessate all’ex Ilva di Taranto.

L’occasione per il magnate ucraino di aprire all’ipotesi è data dal B7 dell’industria in corso a Verona al quale Ryzhenkov ieri ha preso parte. L’interessamento, come ha detto chiaramente, è da intendere a valle del periodo di amministrazione straordinaria durante il quale il governo dovrà essere in grado di rimettere in sesto la fabbrica, facendola tornare produttiva.

Il numero uno di Metinvest ha ricordato anche che l’azienda è già fornitrice del siderurgico ionico e che, in ogni caso, servirà un bel po’ di tempo per esaminare il dossier.

L’interessamento arriva nel giorno in cui la Camera dei Deputati ha votato la conversione in legge del dl Ilva (con 154 sì, 46 no e 56 astenuti), quello con cui si aprono le porte al prestito ponte da 320 milioni per garantire la continuità produttiva e si permette alla Regione Puglia di poter intervenire a supporto dell’indotto sbloccando l’avanzo d’amministrazione.

La legge prevede, inoltre, l’ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria su istanza dei soci con almeno il 30% del capitale per le imprese di interesse strategico nazionale con almeno 500 dipendenti e debiti per almeno 300 milioni. A votarlo, oltre la maggioranza, anche Azione, il movimento politico fondato da Carlo Calenda. In particolare l’atteggiamento delle forze centriste ha scatenata dai banchi dell’opposizione.

«Italia Viva vota contro i nostri emendamenti e ordini del giorno per chiedere che a Taranto sia effettuata una valutazione preventiva dell’impatto ambientale e sanitario della produzione che sarà autorizzata dal prossimo piano industriale dell’acciaieria di Taranto», attacca Ubaldo Pagano, deputato dem eletto nella circoscrizione ionica. «Questa decisione spiega bene le ragioni della nostra rottura col Sindaco Melucci. Perché quando lui ha scelto di aderire a una forza politica guidata da un leader che ha responsabilità chiare rispetto alla vicenda tarantina, abbiamo capito di non poter restare in silenzio e insieme abbiamo deciso di rinunciare ai ruoli di governo cittadino perché prevalesse il rispetto di una battaglia ideale coerente per Taranto e per i tarantini».

Di parere diverso il ministro Urso che in aula ha parlato di un testo «ampliato e migliorato. Le Istituzioni hanno dimostrato coesione e capacità di ascolto, accogliendo le indicazioni arrivate delle forze sociali e produttive e dando delle risposte concrete». Quasi contemporaneamente a ciò che accadeva a Montecitorio, il governo ha aperto il tavolo con i sindacati per delineare la cassa integrazione che riguarderà il 30 per cento dei dipendenti dello stabilimento di Taranto. Nei prossimi giorni il governo presenterà un calendario di confronto con i rappresentanti dei lavoratori che ieri, intanto, hanno incontrato l’azienda. È stata l’occasione per i sindacati per chiedere un cambio di passo all’azienda nelle relazioni dopo la fuoriuscita di ArcelorMittal.

«Deve essere equa nella distribuzione, la necessità di programmare da subito un calendario di incontri specifici e mirati area per area, al fine di confrontarci su eventuali anomalie presenti all’interno della gestione degli impianti con interlocuzione programmata e continua con le Rsu. A breve ci verrà fornito un calendario di incontri specifici. L’avvio delle relazioni industriali riteniamo sia l’elemento chiave per segnare un elemento di discontinuità con il passato. Tuttavia bisogna avviare altri tavoli di confronto per conoscere gli assetti di marcia», concludono Fim, Fiom e Uilm.

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