Ex Ilva, prosegue la trattativa: congelate le dimissioni di Bernabé. Pressing dei sindacati

Non c’è un accordo tra Invitalia, cioè lo Stato, e la parte privata e maggioritaria in Acciaierie d’Italia, ArcelorMittal, che ha in mano il 62 per cento delle quote.

Si è conclusa con un nulla di fatto l’assemblea dei soci di ieri che si aggiornerà martedì. Manca la risposta alla domanda chiave: chi mette le risorse necessarie a portare avanti, anzi, a rilanciare la produzione dello stabilimento siderurgico di Taranto?

La richiesta dell’amministratrice delegata Lucia Morselli di 320 milioni di euro per proseguire l’attività industriale non trova risposte esaustive né nella parte pubblica né in quella privata. Restano di conseguenza congelate anche le dimissioni presentate da Franco Bernabé da presidente di Acciaierie d’Italia.

Eppure le aspettative per l’incontro di ieri erano alte dopo le numerose interlocuzioni tra il gruppo franco-indiano e il governo che hanno portato anche alla redazione di un vademecum.

La giornata di ieri è iniziata con i lavoratori che, arrivati a Milano soprattutto da Taranto e Genova, hanno protestato in viale Certosa, di fronte alla sede di Acciaierie d’Italia. Un sit-in più che una manifestazione che non è stato accompagnato dallo sciopero, a differenza di quanto avevano annunciato Cgil, Cisl e Uil dopo quello del 25 novembre. La delusione è molta tra i lavoratori che speravano che emergesse una direzione chiara dall’incontro di ieri. «Il rinvio è frutto dello stallo tra governo e Arcelor Mittal perché il punto è sempre lo stesso: chi mette le risorse finanziarie, ha sottolineato il coordinatore nazionale siderurgia per la Fiom-Cgil. Questo perdere tempo è scaricato sulla pelle dei lavoratori e fa danno alla stessa azienda, all’ambiente e alla produzione. L’assemblea dei soci del più grande impianto siderurgico di Europa discute di 320 milioni della bolletta e non trova una soluzione quando servirebbero 5 miliardi per rilanciare produzione occupazione e ambiente».

Guglielmo Gambardella, responsabile nazionale Uilm della siderurgia, è tornato a chiedere al governo la rescissione del contratto con il socio privato qualora non si impegni negli investimenti sugli impianti e verso la decarbonizzazione della produzione. «Se non avverrà questo – sottolinea – il governo dovrà prendere atto del fatto che il socio privato non ha alcuno interesse sulla siderurgia italiana e che il contratto con la multinazionale è dunque superato. Il governo dovrà quindi assumere il controllo di questo asset strategico per il Paese e salvare migliaia di posti di lavoro».

Su posizioni simili anche la Fim Cisl che, tramite il responsabile confederale Valerio D’Alò, definisce «impensabile che la seconda acciaieria d’Europa veda una situazione in cui il socio di minoranza, cioè lo Stato, ci mette i soldi e il socio di maggioranza, senza nessuna responsabilità è quello che gestisce le risorse». Una partita ancora aperta, dunque, da cui depende il futuro di uno degli stabilimenti siderurgici più grandi d’Europa ma anche degli abitanti di Taranto, da decenni schiacciati tra il ricatto occupazionale e il diritto alla salute.

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