«È assordante il silenzio che ruota sul presente e sul futuro immediato dello stabilimento ex Ilva di Taranto. Un silenzio che ha il sapore della morte mai annunciata ma decisa da tempo e che potrebbe portare a una nuova, ancora più nefasta, amministrazione straordinaria. Non intendiamo, per l’ennesima volta, essere considerati vittime sacrificali». Così gli imprenditori delle ditte d’appalto dello stabilimento siderurgico di Taranto, aderenti all’associazione indotto Acciaierie d’Italia e General industries (Aigi), annunciano lo stato di agitazione al termine di un’assemblea.
Per Aigi, che organizzerà anche manifestazioni di protesta, «il rischio concreto è la chiusura dello stabilimento e con esso il collasso delle aziende dell’indotto e la messa in libertà del personale alle prese ormai da troppo tempo con un grave stato di sofferenza finanziaria. La situazione di paralisi della fabbrica è sotto gli occhi di tutti: manca la produzione, autorizzata dalle normative vigenti a sei milioni di tonnellate l’anno, manca la programmazione e un piano industriale di rilancio».
Se «è vero – conclude l’associazione – che l’acciaio prodotto a Taranto garantirebbe all’Italia di non acquistare il prodotto dalla Cina o dai competitor europei per realizzare le grandi opere in cantiere, il governo e il socio privato devono necessariamente fornire risposte al territorio, alle imprese e ai lavoratori».