Ex Ilva, i sindacati temono un disastro sociale e ambientale a Taranto: «Si sta spegnendo»

Sempre più rovente il clima dentro e fuori dell’acciaieria. I sindacati dei metalmeccanici preparano una nuova marcia intorno allo stabilimento. Temono per la chiusura della fabbrica.

«Dobbiamo impedire alla multinazionale di compiere un delitto perfetto, eliminando in maniera definitiva un competitor importante come Taranto e far scoppiare sul territorio un vero e proprio disastro ambientale e sociale che diventerebbe irreversibile».

Ieri mattina, mentre il ministro delle Imprese Adolfo Urso parlava di siderurgia in videocollegamento con Mark Vassella, ad di BlueScope Steel, gigante siderurgico australiano, nel parcheggio dell’ex Ilva di Taranto sono state danneggiate le auto di alcuni dipendenti della ditta Pellegrini, incaricata dei servizi di ristorazione e pulizie nello stabilimento. I dipendenti erano entrati in fabbrica contro la volontà dei rappresentanti delle ditte dell’indotto che da giorni presidiano gli ingressi per protesta contro i mancati pagamenti. All’uscita hanno trovato gli pneumatici tagliati. Ora il personale della ditta è spaventato e c’è il rischio che non arrivino i pasti per gli operai nei reparti.

Acciaierie d’Italia, l’azienda misto pubblico-privata che gestisce gli impianti ex Ilva, fa sapere che si farà carico delle riparazioni alle auto danneggiate e ha chiesto alle forze dell’ordine protezione a tutela della sicurezza. I sindacati metalmeccanici (Fim, Fiom, Uilm e Usb), intanto, hanno organizzato per il 29 mattina un corteo attorno al perimetro dello stabilimento per sensibilizzare governo e parlamento, impegnati nella conversione del decreto per l’ex Ilva, affinché siano trovate le opportune garanzie a tutela dei lavoratori e dei crediti delle imprese, ma anche per garantire la salvaguardia ambientale, occupazionale e industriale.

«La vertenza ex Ilva è ad un punto di svolta decisivo nell’ambito dei confronti, conquistati dalle lotte dei lavoratori, in sede governativa» dicono i sindacalisti locali che però temono il rischio «molto concreto di chiusura dello stabilimento per una volontà ben precisa dell’amministratrice delegata, espressione di fatto di AcelorMittal».

Secondo fonti sindacali, nelle ultime ore è stato deciso di abbassare ulteriormente la carica dell’unico altoforno attualmente in marcia, peraltro già ridotta, e si sta avviando anche la fermata delle batterie 7- 8. Operazioni che secondo i sindacalisti «rappresentano di fatto la chiusura definitiva della fabbrica».

I sindacati puntano il dito contro il socio di maggioranza ArcelorMittal. «Nessun investimento per il rilancio della produzione e per la transizione ecologica. La multinazionale ha prodotto soltanto cassa integrazione ed un impoverimento del tessuto produttivo della provincia ionica portando al lastrico molte aziende dell’appalto con conseguenti procedure di licenziamento collettivo per i lavoratori». E se per il leader di Cgil Maurizio Landini lo Stato deve restare socio maggioritario nella compagine del siderurgico, per Pierpaolo Bombardieri di Uil il governo deve subito escludere i Mittal e cercare una cordata italiana prima che l’ex Ilva chiuda.

Sul destino degli oltre cinquemila lavoratori impiegati nell’indotto, il governatore Michele Emiliano (che ieri ha incontrato il ministro Urso) sollecita il governo a garantire cassa integrazione per gli operai e pagamenti dei crediti dell’indotto. Su questo tema il senatore del M5s Mario Turco ha depositato un’interrogazione al ministro dell’Economia Giorgetti chiedendo di destinare una parte dei 320 milioni del prestito ponte per la liquidità al pagamento dei debiti nei confronti dell’indotto.

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