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Ex Ilva, 400 mln per evitare il commissariamento. Il M5s contro Calenda: «Spieghi i suoi fallimenti»

Entro mercoledì, secondo quanto stabilito nei giorni scorsi dal governo, ArcelorMittal e Invitalia, i due azionisti dell’ex Ilva di Taranto, dovrebbero trovare l’accordo per la “separazione consensuale”. E l’intesa sembra effettivamente vicina, sulla base di cifre da capogiro: la società partecipata interamente dal Ministero dell’Economia sarebbe pronta a versare 400 milioni per acquistare dalla multinazionale…

Entro mercoledì, secondo quanto stabilito nei giorni scorsi dal governo, ArcelorMittal e Invitalia, i due azionisti dell’ex Ilva di Taranto, dovrebbero trovare l’accordo per la “separazione consensuale”. E l’intesa sembra effettivamente vicina, sulla base di cifre da capogiro: la società partecipata interamente dal Ministero dell’Economia sarebbe pronta a versare 400 milioni per acquistare dalla multinazionale franco-indiana il 40% delle quote di Acciaierie d’Italia. Per evitare un secondo commissariamento della fabbrica tarantina, però, lo Stato italiano dovrebbe sborsare almeno un altro miliardo e 400 milioni.

In queste ore, il lavoro degli avvocati di ArcelorMittal e Invitalia è quanto mai intenso, vista anche la deadline fissata dal governo. Nella corsa contro il tempo spunta la cifra di 400 milioni calcolata sulla base della valutazione della società fatta da Enrico Laghi e verificata da Kpmg alla fine del 2020, in occasione dell’ingresso di Invitalia. Allora il valore delle azioni era di 1,050 miliardi. Secondo indiscrezioni, ArcelorMittal potrebbe accettare anche una cifra più bassa dei 400 milioni che viene considerata realistica come compensazione e risarcimento per l’uscita dei franco-indiani da Acciaierie d’Italia.

Per lo Stato, comunque, non si tratterà dell’unico esborso per salvare la fabbrica di Taranto. Si parla, infatti, di altri 3-400 milioni da immettere nell’azienda per rilanciare la produzione e circa 950 per ricomprare gli impianti; in compenso, però, 700 milioni dovrebbero tornare indietro in quanto prestiti che il Mef aveva versato al primo commissariamento. Insomma, la difesa dell’acciaieria e dell’indotto non costerà poco alle casse statali.

La trattativa si giocherebbe, dunque, questi numeri. Il negoziato è difficile e altrettanto lo è prevedere se già mercoledì ci sarà la fumata bianca con la convocazione, il giorno dopo, dei sindacati a Palazzo Chigi, o se, invece, sarà necessario altro tempo. Anche perché restano altri nodi da sciogliere. Il primo: il governo è alla ricerca di un partner privato e Arvedi e Vulcan Green Steel restano i principali indiziati. Il secondo: secondo ArcelorMittal, lo Stato italiano avrebbe erogato solo parte delle risorse e agevolazioni promesse per oltre 1,4 miliardi; lo Stato, invece, sostiene che le somme in questione sono state erogate solo laddove dovute, cioè sulla base del conseguimento di specifici obiettivi. Certo è che il governo vuole evitare l’amministrazione straordinaria e la nomina di un commissario che comporterebbero il rischio di contenziosi legali e pesanti conseguenze per la filiera dell’indotto e dei fornitori dell’acciaieria tarantina.

Nel frattempo, riparte lo scontro politico con Mario Turco, numero due del Movimento Cinque Stelle, che torna ad attaccare il leader centrista Carlo Calenda, che da ministro dello Sviluppo economico gestì in prima persona la gara conclusasi poi con l’assegnazione dell’ex Ilva ad ArcelorMittal. «Solo in Italia si favorisce in sede di gara un soggetto estero, come ArcelorMittal, che garantiva peraltro meno tutele ambientali, invece di una cordata tutta italiana, con primari soggetti pubblici e privati – dice Turco – È accaduto nel 2017 con l’allora ministro Calenda. Sempre in sede di gara lo stesso Calenda non permise alla cordata italiana, risultata seconda, la possibilità di rilanciare all’offerta economica indiana. Per non parlare poi di aver occultato che l’impianto era sotto sequestro con il rischio di confisca e di aver garantito lo scudo penale, una promessa degna di Totò con la fontana di Trevi. Prima di cercare di nascondere i suoi sciagurati errori e scaricare sugli altri le sue responsabilità, Calenda spieghi le ragioni delle sue scelte fallimentari».

Agli operai di Taranto, infine, giunge la solidarietà del circolo Ilva di Bagnoli, associazione fondata dagli ex caschi gialli nel vuoto lasciato dalla chiusura dell’Italsider di Napoli: qui l’area a caldo venne spenta nell’ottobre del 1990. «Siamo al fianco dei lavoratori e dei cittadini di Taranto per l’adozione di tutte le misure necessarie per la compatibilità ambientale e l’ammodernamento di un impianto produttivo che ha una funzione strategica per l’industria nazionale ed europea», fanno sapere gli ex caschi gialli napoletani.

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