Villejuif, 15 aprile 1997.
Non sapevo che il dolore contenesse labirinti così strani, né che vi avrei continuato a camminare dentro, a lungo. L’atmosfera qui sembra uscita da un romanzo di Brancati o di Sciascia, ma trapiantata in un sobborgo parigino: Villejuif, noto per il centro oncologico «Gustave Roussy», meta di pellegrinaggi laici e ostinati quanto i treni bianchi per Lourdes o le processioni verso Padre Pio. Attorno a questa cittadella della speranza è nata una geografia parallela: alberghi modesti, monolocali provvisori, trattorie senza memoria. Uno di questi luoghi è la pizzeria Monopoli – non il gioco, ma la città pugliese affacciata sull’Adriatico, da cui proviene il proprietario.
È sera tardi. Nessuna eleganza francese: niente specchi, niente tavolini minuti, niente luci soffuse. Solo neon feroci, tovaglie rosa, divanetti in finta pelle. Dal forno a legna si diffonde il profumo di aglio e basilico.
Per due ore, dentro queste mura, non siamo più a Parigi: siamo nel Sud, quello autentico, dove l’arte dell’arrangiarsi convive con la nostalgia. Paolo, il padrone, baffi neri e pancione in vista, è l’anima del luogo. Da sedici anni tiene viva questa enclave. Intorno a lui sfilano figure che sembrano uscite da una sceneggiata napoletana: un avvocato barese, eloquente e curioso; un pisano in sovrappeso che bivacca in attesa di un lavoro; Pascal, nato Pasquale, tassista di Triggiano arricchito trasportando malati da Charles de Gaulle agli ospedali; un maresciallo dei carabinieri, due napoletani, una signora di Conversano, altri baresi. Tra i tavoli si muove Domenico, ex ristoratore, ora pizzaiolo «per grazia ricevuta». Paolo l’ha accolto per strapparlo alla miseria. I discorsi si accendono intorno all’olio d’oliva, alla pasta, alle pizze: una rissa verbale rischia di esplodere sulla superiorità dell’olio toscano o pugliese. Le donne, assenti dai discorsi, sembrano bandite per rispetto tacito verso chi vive giorni di paura. Poi entrano due giovani portoghesi, in attesa di un trapianto di fegato. L’italianità si accende immediata, a metà fra solidarietà e traffico parallelo: Paolo promette scorciatoie, contatti con i professori, favori da sbrigare fuori dalle regole. Per loro, stranieri, forse sarà più semplice che per gli italiani, già traditori di se stessi.
A mezzanotte il forno si spegne. Il pisano si prepara al suo giaciglio, gli altri tornano alle stanze e alle angosce. Per un attimo, alla pizzeria Monopoli, la vita si è fatta sopportabile: un’illusione condivisa, un rifugio improvvisato nel cuore doloroso di Villejuif.