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Bari, al Bif&st un film dedicato a Tommaso Maestrelli. Il figlio Massimo: «Ci ha insegnato l’umanità» – L’INTERVISTA

C’è Rosa Marina per i ricordi dolci, fatti di sole e di mare; c’è un uomo che ha vinto fuori e dentro il campo da calcio e poi ci sono i suoi figli, Massimo e Maurizio, soprannominati per anni “i gemelli portafortuna”. Una storia da film, come si suol dire, e infatti film è stato:…

C’è Rosa Marina per i ricordi dolci, fatti di sole e di mare; c’è un uomo che ha vinto fuori e dentro il campo da calcio e poi ci sono i suoi figli, Massimo e Maurizio, soprannominati per anni “i gemelli portafortuna”. Una storia da film, come si suol dire, e infatti film è stato: “Tommaso, Maestrelli e il calcio a colori”, un documentario scritto e diretto da Francesco Cordio e Alberto Manni, 98 minuti in cui si raccontano emozioni, successi, dolori profondi e voglia di rinascere. Entriamo a gamba tesa nella vita familiare di Tommaso, pisano d’origine e barese d’adozione, calciatore e dirigente sportivo, l’allenatore per eccellenza, quello che, nel lontano 19 maggio del 1974, sfidando il dominio delle squadre del Nord, condusse la Lazio verso uno scudetto storico. Il ritorno a quel passato è affidato ai ricordi di Massimo, classe ‘63, l’unico in vita dei quattro figli del mister. È lui, con grande dedizione, ad aver portato sullo schermo un omaggio a quel padre «sempre con il sorriso», devoto a San Nicola e Padre Pio e scomparso cinquant’anni fa. Nel film, presentato alla Festa del cinema di Roma e atteso a Bari nell’ambito del Bif&st (il 24 alle 18,30 al Galleria) scorrono anche le immagini di una famiglia felice, dove tutto gira intorno a un pallone ed emerge un filo rosso: l’umanità.

È questa l’eredità che le ha lasciato suo padre?

«Quando morì, io e Maurizio avevamo 13 anni ma nonostante il poco tempo che ci è stato concesso, di lui ci è rimasto, come un imprinting, tanto amore. Babbo ci ha insegnato che ogni persona ha del bello e la magia sta proprio nello scoprire quelle qualità, senza badare all’apparenza. Andava a cena a casa di Gianni Agnelli e poi, con lo stesso entusiasmo, stringeva la mano a chiunque».

Il docufilm si apre con la spiaggia di Rosa Marina. Cosa ricorda di quei giorni nella villa acquistata dai suoi negli anni ‘70?

«I bagni a mare, i pranzi e le cene con i giocatori della Lazio. Tutti intorno ad un tavolo a mangiare specialità tipicamente pugliesi preparate da mia madre Lina, dalla pasta al forno, a patate riso e cozze. Lei, tenace e rigorosa com’era e insieme alle sue sorelle, si alzava all’alba e iniziava e cucinare. I calciatori come Wilson, Chinaglia (da me adorato) e Oddi andavano matti per la parmigiana. Mio padre non amava andar per ristoranti e prediligeva la convivialità di un’atmosfera gioiosa tra le mura di casa. Non erano solo pranzi: era la felicità, ci si sedeva alle 12 e ci si alzava alle 17 e in quelle ore si creava quel “gioco di squadra” che in campo faceva poi la differenza».

Suo padre, per scaramanzia, indossava una giacca a quadri bianca e nera, sempre quella. Quali altri riti?

«Io e mio fratello prima di ogni partita, su indicazione paterna, toccavamo le reti delle porte e poi le volte in cui le cose andavano male, durante la partita, mio padre faceva un cenno a mia madre, lei capiva e noi scendevamo dagli spalti per sederci accanto a lui».

Parla di Maurizio come fosse vivo, invece è scomparso nel 2011. Nel docufilm lei ricorda i motorini che vostro padre vi regalò nel giorno dello scudetto. Li avete ancora?

«Come reliquie. Ogni estate quando riaccendo il motore e giro per i vialetti mi torna in mente tutto, anche di quelle volte in cui i giocatori prendevano in prestito le nostre due ruote. Sogno mio fratello ogni notte e tutte le volte mi dice di non star lì fermo e triste per lui. Mi fa alzare dalla sabbia del “boschetto” di Rosa Marina e mi invoglia a fare surf con lui».

L’obiettivo di questo film?

«Dopo la morte delle mie sorelle Patrizia e Tiziana, di mia madre e di mio fratello ho sentito il bisogno di lasciare una testimonianza, soprattutto ai miei figli e nipoti; in memoria di quel primo nucleo Maestrelli che guardava al mondo con la forza dell’amore».

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