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Antonella Carone al cinema con MalAmore: «L’incontro con Dario Fo mi ha cambiata» – L’INTERVISTA

Antonella Carone è una di quelle movie stars che sembrano uscite da una ballata di Tom Waits: autoironica e schietta, solare, senza però trascurare le ombre. Introspettiva. Tenace, ma in contatto con le proprie fragilità.

Un’attrice che si scava addosso e si riscrive ogni giorno, passando con naturalezza dalle imitazioni di Andreotti – a nove anni – alla saga dei “Me Contro Te”, dalle assi di legno dei teatri, al grande schermo. Ha appena finito di interpretare una capoclan nel film “MalAmore” di Francesca Schirru, in uscita l’8 maggio, vestendo i panni di una donna che comanda ma non conta, che sogna un figlio e si ritrova con un’eredità criminale tra le mani. Film che, da giovedì a domenica, Antonella Carone presenterà nelle sale cinematografiche pugliesi.

In questa intervista ad Antonella zero retorica, niente frasi da poster motivazionale, nessun mito da diva: solo sincerità spiazzante e affilata. Ne viene fuori una donna con obbiettivi ben chiari, che ogni giorno combatte contro le etichette e con l’idea – fallace – che si debba sempre sapere chi si è. Spoiler: non lo sa. E va benissimo così.

Mi ha incuriosito la storia della sua imitazione di Andreotti da bambina. Ma cosa le ha fatto capire che il palco sarebbe stato la sua vita e non solo il salotto di famiglia?

«Il fatto che mi sentissi bene nell’impersonare qualcun altro. Poi il ricevere approvazione, che mi dava una scossa di benessere. Ma soprattutto: la curiosità. Amo ascoltare le storie, amo le vite altrui. Fare l’attrice è appagare questa curiosità. Recitare è il modo più pieno di soddisfare questa fame di mondo».

Ha confessato di essersi spesso nascosta dietro i suoi personaggi. Ma quando non è nessun altro, chi è Antonella Carone?

«È la domanda più difficile. Mi verrebbe da dire: “Non lo so, fate voi”. Ho fatto uno spettacolo proprio su questo: il proprio “io”, la credibilità. Qualsiasi narrazione è parziale. Io sono tante cose: mamma, attrice, donna con bisogni affettivi, persona severa con se stessa. Quello dell’identità è un tema importante, un terreno scivoloso, ma fertile».

Dario Fo le disse: “Se vuole fare questo mestiere, deve farlo”. Che prezzo ha avuto questo “fare” nella sua vita?

«Non ha avuto un prezzo ma un valore. Quella frase ha ribaltato la mia prospettiva, ha cambiato il mio modo di vedere questo lavoro. Non dovevo aspettare che mi scegliessero per un ruolo, potevo costruire il mio futuro da sola. E ho iniziato a farlo ogni giorno. Ancora me lo ripeto: “fai qualcosa”. Sempre».

Ha avuto modelli agli inizi?

«Marina Confalone e Maria Paiato: due attrici di teatro che ammiro enormemente. Poi amo Meryl Streep, ma senza mitizzare Hollywood. Abbiamo attori pazzeschi anche in Italia».

A proposito di cinema, è in uscita il film “MalAmore”, in cui lei interpreta una donna schiacciata dal desiderio di maternità.

«Schiacciata sì, ma dalla struttura in cui questo desiderio viene tradotto: la gerarchia criminale. Vuole un figlio, ma questo significa dare un erede. Affetto contro ordine. Ha potere, ma è solo un prestanome finché il marito è in galera. E quando lui esce, lei viene messa da parte. Tradita, sterile, dimenticata. Un dolore che somiglia a un lutto, anche se un figlio non l’ha mai avuto. È come elaborare la morte di un figlio che non è mai nato. Un’assenza che pesa quanto una perdita concreta».

Che impatto ha avuto questo ruolo nella sua carriera?

«Enorme. Dopo la saga dei “Me Contro Te”, è arrivato un ruolo drammatico, complesso. Un personaggio maturo, che mi ha permesso di esplorare dimensioni nuove. Ogni volta in questo mestiere si riparte da zero, ma un ruolo così lo aspettavo da tempo».

Tommaso Ragno una volta mi ha detto: “L’attore è un evocatore di fantasmi”. Per lei cos’è l’attore?

«È uno che è sempre altrove. Ma non so se il mio aforisma è figo come quello di Tommaso (ride ndr)».

Lei ha recentemente portato in Puglia lo spettacolo teatrale “88 Frequenze”.

«È la storia di Hedy Lamarr, una diva di Hollywood geniale, dimenticata nonostante abbia inventato un sistema di comunicazione che ha dato origine al Wi-Fi. Una mente importante, non presa sul serio perché troppo bella. È un racconto ancora molto attuale».

Si è mai sentita sottovalutata perché donna o perché non rientrava nei cliché?

«A tutte le donne, me compresa, è capitato almeno una volta di sentirsi fuori posto. A volte il sessismo è subdolo e sottile. Per esempio, quando presentano un’attrice pubblicamente, spesso dicono “bellissima”. Magari è bravissima, ma si sceglie “bellissima”. Una volta mi hanno definita “una bella donna ma anche pensante”. Ecco, questo tipo di precisazione per un uomo non si farebbe mai. È proprio la radice sottile del problema».

C’è ancora maschilismo nel mondo dello spettacolo?

«Sì, ma non è diverso dal resto della società. Però possiamo liberarci di certe etichette. Pensa a “regista donna”: dovremmo parliamo solo di registi, punto. Il talento deve bastare».

Ha dichiarato di annoiarsi facilmente. Quando è stata l’ultima volta?

«Stamattina (ride ndr). Ho bisogno di stimoli costanti. Non mi sento una persona ansiosa, ma vivo sempre in bilico tra il “qui e ora” e “là e allora”. Ma questo credo sia anche conseguenza del lavoro che faccio, che non ha mai una routine ben definita».

Quando si ferma, soffre il down post-spettacolo, post-promozione?

«Tantissimo. Quando finisce una tournée o una promozione crollo. Ma torno al consiglio di Fo: faccio qualcosa. Creo uno spettacolo, leggo, studio, lavoro. Il vuoto lo riempio così».

Ha dei rituali per coccolarsi nei momenti no?

«Stare con mio figlio. Oggi, ad esempio, stiamo raccogliendo fragole in campagna. È il mio modo per respirare. Anche se me lo dimentico spesso, devo ricordarmi di farlo. È la mia verticalità in mezzo a un mondo fatto di orizzontalità, scadenze, ruoli. Ogni tanto bisogna tornare alla terra, anche solo per sentire l’odore».

Confrontarsi con l’ego di un’attrice è davvero così difficile?

«Sì. Ma penso di essere una delle meno egotiche».

Potrei risponderle che dicono tutte così.

«Hai ragione (ride ndr). Allora mi ci metto dentro, e dico che siamo complicati, inutilmente capricciosi. Dimentichiamo da dove veniamo. E forse dovremmo essere più coerenti nel quotidiano alle nostre dichiarazioni pubbliche. Per quanto mi riguarda, ci provo. Poi magari esci e incontri un macchinista che ti dice “ah, la Carone che stronza sul set” (ride ndr)».

Ultima: le è mai capitato di volersi licenziare da sé stessa?

«Costantemente. A volte sono così impietosa con me stessa che vorrei solo sparire. Non rispondere a nessuno. Guardare un film. Uscire. Andare al mare. E licenziarmi dalla mia voce interiore che mi giudica. Voglio una coccola, ogni tanto».

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