La centrale Asja Cogliandro, 15 anni di carriera tra A1 e A2, ha denunciato (poche ore dopo il successo dell’Italia in Volley Nations League) di essere stata allontanata dalla sua squadra, Perugia, dopo aver comunicato la gravidanza. Lo ha raccontato in un’intervista a La Stampa, sollevando un tema ancora troppo spesso ignorato nello sport: quello della maternità.
«Avevamo un rapporto fantastico, società e squadra – ha spiegato – dopo la promozione in A1 ho firmato il rinnovo consapevole di non essere titolare, ma utile per esperienza e spogliatoio». Tutto cambia con la notizia della gravidanza: «Cominciano le telefonate sul contratto, volevano impormi di chiedere la maternità. Cercano un accordo, ma ballano 12 mila euro. Io ho subito una violenza psicologica, mi hanno persino minacciata».
La giocatrice afferma di aver proposto soluzioni alternative – lavoro d’ufficio, gestione social, congelamento del contratto – ma la società avrebbe rifiutato ogni dialogo: «Volevano solo liberarsi di me». Un caso che ricorda quello di Lara Lugli, sollevando nuovamente interrogativi sulla tutela delle atlete-madri.
In attesa di una replica ufficiale da Perugia, Federazione e Lega si schierano con Cogliandro. «La maternità non può essere vista come colpa – ha dichiarato il presidente Fipav Giuseppe Manfredi – abbiamo istituito un fondo per sostenere le atlete madri. Verificheremo i fatti». Sono parole importanti, ma che ribadiscono una verità amara: nel 2025, la maternità nello sport è ancora vista, troppo spesso, come un ostacolo e non come un diritto.