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Un 57enne bitontino alle “Olimpiadi delle randonnée”: «Esperienza fantastica ma anche faticosa»

Per gli esperti del settore e per i partecipanti si tratta delle “Olimpiadi delle randonnée” perché si corre per nazionali dopo essersi qualificati nel proprio Paese. È una gara ciclistica che nasce nel 1891 riservata esclusivamente professionisti mentre, dal 1951, è stata aperta anche ai ciclisti amatori e si corre ogni quattro anni e perciò…

Per gli esperti del settore e per i partecipanti si tratta delle “Olimpiadi delle randonnée” perché si corre per nazionali dopo essersi qualificati nel proprio Paese. È una gara ciclistica che nasce nel 1891 riservata esclusivamente professionisti mentre, dal 1951, è stata aperta anche ai ciclisti amatori e si corre ogni quattro anni e perciò rappresenta il sogno proibito di chiunque abbia stretto fra le mani il manubrio di una bici da corsa.

È la Parigi-Brest-Parigi, e già nello spiegarlo si capisce perché. In bici da Parigi all’Atlantico e ritorno: 1227 chilometri e quasi 12mila metri di dislivello da completare in un massimo 90 ore. Numeri che, solo a leggerli, fanno rabbrividire anche i ciclisti più smaliziati ed allenati.

A questa incredibile, certamente affascinante e al tempo stesso massacrante sfida ha partecipato anche il bitontino Luigi de Gennaro, 57enne, componente della nazionale italiana “Randonneurs” (preferisce non citare la e uno fra gli 8mila partenti, rimasti in sella dalla sera del 20 agosto fino al pomeriggio del 24 per percorrere l’intero percorso.

Il ciclista bitontino ha impiegato 81 ore (compreso il tempo delle fondamentali soste fisiologiche) per partire da Parigi, arrivare a Brest e tornare a Parigi, giungendo ben nove ore prima del limite di tempo massimo. Questa prestazione lo ha posto in classifica come uno dei migliori Italiani. «È stata un’esperienza fantastica, ma, allo stesso tempo, estremamente faticosa – commenta De Gennaro – che ha richiesto un’incredibile resistenza alla fatica e, soprattutto al sonno, ma che ha regalato anche l’incontro con ciclisti di tutto il mondo: europei, americani, indiani, asiatici, australiani, ciascuno col suo stile di corsa, ognuno con la sua strategia di corsa ma tutti uniti con un unico scopo e cioè concludere la gara entro il termine massimo per ottenere l’ambito e prestigioso “brevetto”. Io, come tutti, ero attrezzato per disciogliere nella borraccia sali e carboidrati, ma ho preferito anche rifornirmi di cibi solidi lungo i punti predisposti dall’organizzazione sul percorso. Riguardo il sonno, ho dormito per qualche ora solo nel tratto del ritorno e su brandine predisposte nei punti di “checkpoint” che certificano il passaggio dei ciclisti».

Benché estrema, questa è comunque una gara estremamente tattica e che richiede una precisa pianificazione relativamente alle caratteristiche personali: “Io – spiega il ciclista bitontino – ho scelto di percorrere il tratto dell’andata (600 km. da Parigi a Brest) in un’unica tappa da 26 ore per poi gestire il tempo restante per concludere i rimanenti 600 km del ritorno in due tappe. Il percorso, col suo paesaggio caratterizzato da villaggi e cattedrali, è interamente vallonato: sostanzialmente non esiste la pianura. Nella migliore delle ipotesi, i tratti in salita sono del 2-3 per cento, ma i tratti più duri arrivano a pendenze dell’8-10 per cento che costringono a continui di cambio di ritmo oltre che a tenere sempre le mani in movimento sulla leva del cambio». Però, quel che più conta, è che non si vive mai l’incubo di trovarsi da soli a pedalare in mezzo al nulla.

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