A metà settembre Foggia l’aspetta per una grande festa. Quel bronzo nella Sciabola di Gigi Samele a 37 anni alle Olimpiadi di Parigi era insperato, «…forse per gli altri, ma io ci credevo». Ora però lo attendono le sue meritate vacanze. Le estati di Luigi Samele hanno un solo indirizzo: “Villaggio Calenella” tra San Menaio e Peschici. «Tra gli ulivi e gli affetti della mia famiglia, ho costruito il mio posto preferito, la mia isola felice dove ritrovarmi e rigenerarmi. Sin da bambino, quando ero l’irrefrenabile nipote di nonno Gino e nonna Titina che avevano lì il loro riferimento estivo, Calenella è stata la mia unica passione, un ambiente familiare che sapeva di ulivi garganici e aveva gli amici e le prime avventure da vivere con la consueta vivacità. Perché ero un terremoto, non mi fermavo mai».
Come passava le giornate?
«Con mio fratello Riccardo diciamo che abbiamo fatto “breccia” in vari cuori di passaggio a Calenella: erano lunghe nottate e giornate vissute al massimo, sempre con la voglia di fare scherzi, soprattutto ai malcapitati avventori del villaggio. Le vacanze che comunque non dovevano mai mancare erano però con gli amici del cuore Pasqualino e Luca e la celeberrima “partenza ad occhi chiusi”. Si sceglieva una località e si andava, senza prenotare nulla e casomai cercando un posto di amici dove iniziare a soggiornare. Da lì itinerari e luoghi venivano scelti giorno per giorno.
Insomma come i viaggiatori di una volta.
«Tutto questo indipendentemente dalle risorse finanziare, Italia o estero dovevano essere percorsi senza mete precise, con un’unica prerogativa: trattare dovunque sui prezzi. Alberghi, ristoranti ed attrazioni venivano mercanteggiati con proposte di prezzo e trattative estenuanti fino all’ultimo sconto. Un esempio di foggianità reso anche successivamente celebre da due amici: Pio e Amedeo (che si sono congratulati come sempre anche dopo questo successo ndr). Il ritorno era però sempre a Calenella, perché la voglia di Gargano non è mai mancata».
E la scherma come è arrivata?
«Ho iniziato a fare scherma per caso, ero con mia madre dal barbiere quando il mio primo maestro Vincenzo Acquaviva notò la mia irrequietezza e pregò mia madre di portarmi in palestra per provare a “giocare” con la scherma. Sinceramente non mi importava granché di quello sport ma era un modo per fare casino e correre in uno spazio molto grande, facendo come sempre dispetti a tutti, soprattutto ai ragazzi più grandi. I primi anni e le prime gare sono state assolutamente negative, iniziai con il fioretto ed ero un “pippone” gigantesco. Poi passai alla sciabola e cominciai a farmi notare, anche se il mio pensiero primario era andare in trasferta per fare casino ed “sfondarmi” di sale giochi. Una volta a Rimini, dove si svolgono le finali nazionali under 14, era il momento dei quarti di finale e non mi trovavano più in palestra. Dovevo salire in pedana, ma mi importava talmente poco della gara che ero scappato nella sala giochi sotto il palazzetto. Mi vennero a recuperare i miei genitori e naturalmente persi l’assalto, avendo altri pensieri da supportare».
Quando avvenne la svolta?
«Chi vide qualcosa di speciale in me, ancora adesso devo capire bene come fece, fu l’allora commissario tecnico della nazionale di sciabola Christian Bauer. Mi portò ai mondiali Cadetti a soli 16 anni e vinsi il titolo mondiale, che era anche la mia prima vittoria assoluta in una gara di scherma. Venne poi a parlare con i miei genitori e gli manifestò la sua volontà di portarmi a Roma, alla palestra della nazionale che si trova nel complesso sportivo dell’Acqua Acetosa».
Fu felice di trasferirti nella capitale?
«Non fu facile lasciare Foggia, i compagni di scuola, la mia famiglia, gli amici dell’oratorio di San Michele, dove trascorrevo la gran parte delle mie giornate, tutti quegli affetti che avevo costruito e che mi mancavano al solo pensiero di allontanarmi. Feci questa scelta e finii, dopo il liceo scientifico “Volta”, le scuole dell’obbligo a Roma. Non fu facile ma non avevo alternative».
Dunque partì la maturazione personale?
«Cominciai in quel periodo a capire che lo sport è soprattutto sacrificio, non lasciai Foggia per scelta, era un’occasione che mi era stata creata dagli eventi e sapevo che dovevo sfruttarla. Dopo i primi anni a Roma ed il bronzo alle Olimpiadi di Londra qualcosa si inceppò nel meccanismo strano che regola la vita degli sportivi. Non riuscivo a ritrovarmi, pensai anche di lasciare la scherma. Fu il maestro Andrea Terenzio, foggiano come me, che mi propose di andare da lui a Bologna».
E come andò?
«Inizialmente scettico, accettai la sua proposta e volai in Emilia, dove adesso risiedo e che ritengo la mia seconda casa. Tutto quello che Andrea e la Virtus Scherma ha costruito per me resta la migliore scelta che potessi fare, per la mia vita sportiva e sociale. Poi è arrivato l’amore con Olga Kharlan medagliata a Parigi come me con un bronzo e la scelta di vivere a Bologna come città di residenza. La condivisione di momenti molto difficili, come il dover affrontare il lungo viaggio per riportare parte della sua famiglia con noi dall’Ucraina, ha rafforzato un legame che resta forte nonostante le tante preoccupazioni che ancora oggi subiamo per una guerra assurda e terribile».
E il legame con la tua terra è rimasto?
«Con il trasferimento prima a Roma e poi a Bologna il desidero di riabbracciare la mia terra mi porta a “scappare” in periodi anche non estivi verso il Gargano. Mamma Eleonora e papà Franco ormai vivono a Verona, con i miei fratelli, Francesco e Riccardo. Ritornare a Foggia significa soprattutto vivere l’atmosfera delle feste natalizie con la numerosissima famiglia, 11 cugini, zii e zie difficili da “controllare”, per riabbracciare anche chi ha creduto in me».
E fra quattro anni la rivedremo a Los Angeles?
«Intanto fra un po’, come sempre, tornerò a Calenella per un breve periodo, per poi partire alla volta degli Stati Uniti con Olga per una lunga vacanza californiana. Dopo deciderò cosa fare: a 37 anni gambe, ginocchia e spalla devono dirmi se vorranno ancora supportarmi».