Di Chiara «Roma? Gara impari ma il Lecce può sorprendere. Ora un salentino in panchina»

Il conto alla rovescia per Lecce-Roma, che dura quindici giorni, sta per terminare. Lunedì le due squadre saranno in campo al “Via del Mare” per un match che significa tanto per entrambe. Significa molto anche per altri aspetti. Vedremo Guillermo Giacomazzi per la prima volta affrontare il Lecce, sarà il match del cuore per Antonino Gallo che di Giacomazzi è il genero, sarà un match speciale per Wladimiro Falcone, cresciuto in un ambiente tifosissimo della Roma e ora impegnato a difendere i pali dei salentini.

Sarà una gara tra due tifoserie rivali oltre che uno scontro che negli anni ha fatto la storia. E non perché le due compagini si siano affrontate tante volte, solo 35 in Serie A, con un bilancio di 24 vittorie per i capitolini e 9 pareggi. In una delle due vittorie leccesi, quella storica della stagione 1985-1986, quando da retrocessi tolsero lo scudetto alla Roma, era titolare Stefano Di Chiara con cui abbiamo chiacchierato di passato e presente.

«Rimpiango il calcio di una volta – ha esordito Di Chiara – perché non ci sono più i giocatori, i dirigenti e i giornalisti che hanno contraddistinto la mia generazione. Detesto il calcio moderno, non lo sento più mio. Non mi appartiene. Gli stadi sono pieni ma il calcio ha raggiunto livelli bassissimi. Manca quel senso di appartenenza. Oggi, la massiccia presenza di stranieri ha condizionato e determinato tutto. Nel nostro Lecce gli stranieri erano due fuoriclasse, Pasculli e Barbas. La strada per curare il calcio è un ritorno al passato».

Inevitabilmente lo sguardo è andato a quel Roma-Lecce del 1986: «Una delle poche partite vinte quell’anno, un anno strano perché fu come se dall’alto avessero deciso che il Lecce non meritava di stare in A». Una partita nella quale la Roma perse lo scudetto ma che parte da lontano. Di Chiara non dimentica che all’andata la Roma fu scorbutica, soprattutto nei rapporti con i giocatori. Una sorta di rivincita a mesi di distanza. «Si è detto di tutto su quel match di ritorno, ma la verità è che fu giocato sul serio perché la nostra squadra, che era vera, si era sudata la massima serie e voleva onorarla fino alla fine. Fu per me l’ultima partita importante giocata nella mia carriera e so che rimarrà alla storia, anche nella testa dei romanisti».

«Il Lecce di oggi, a parte qualche perno, lo vedo in continua evoluzione, non ci sono più gli undici fissi, ogni formazione è diversa di volta in volta. D’Aversa non mi ha mai convinto, ma ha fatto quello che ha potuto, anche se ci sono state partite dove ha sbagliato; la corsa per rimanere in A è dura, il livello non è altissimo, le squadre sono tutte lì».

«La partita di lunedì è fondamentale per il Lecce e per la Roma, che affidando la panchina a De Rossi ha svoltato. Mi sarebbe piaciuto vedere la stessa mossa nel Lecce, avere il coraggio di affidare la direzione della squadra a un leccese, qualcuno che rappresentasse la piazza. Qualche nome c’è, sarebbe stata una scelta identitaria a poche giornate dalla fine».

«La Roma è superiore per motivazioni, risultati, e il quarto posto è un obiettivo da raggiungere per una questione anche economica. Il Lecce si gioca la salvezza ma la partita è quasi impari per le forze in campo. Però, come abbiamo insegnato a tutti, una squadretta data per sconfitta in partenza può sorprendere».

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