Cani crede nella rimonta: «Bari puoi riscattarti come abbiamo fatto noi»

Giornata speciale ieri per Edgar Cani. L’ex attaccante albanese del Bari è il protagonista del docufilm autobiografico “Edgar Cani, da rifugiato politico a giocatore professionista”, lavoro a cura del giornalista Marco Iusco, con la regia di Tess Lapedota. La storia, di strettissima attualità, ripercorre la vita del 34enne, arrivato in Italia insieme alla sua famiglia nel 1990 al porto di Brindisi, a bordo di una nave sotto l’egida dell’Onu, quando aveva solo 11 mesi. Fu uno dei primi sbarchi prima dell’esodo di albanesi verso l’Italia in seguito alla caduta del regime comunista. Cani ha preso parte alla proiezione della pellicola al cinema Abc del capoluogo pugliese, dopo aver incontrato in mattinata gli studenti del liceo scientifico Di Cagno Abbrescia.

Bentornato in Italia, Edgar.

«Grazie mille. È sempre bello ritornare. Sono cresciuto qui sin da piccolo, lo considero il mio Paese».

Si aspettava che la sua storia venisse raccontata in un docufilm?

«Assolutamente no. È una cosa che mi tocca particolarmente e che mi emoziona perché parla della mia vita. Sono contento che possa essere un esempio positivo di umanità e di accoglienza».

“Da rifugiato politico a calciatore professionista”: una favola o una testimonianza di riscatto sociale e di vita?

«Un po’ tutte e due. Ma non vorrei che passasse il messaggio di essere un arrivista. La passione per il calcio è stata determinante, insieme a Ronaldo il Fenomeno, la mia prima ispirazione per inseguire questo sogno. Ho sentito un fuoco dentro, l’ho coltivato insieme al piacere di giocare a calcio e divertirmi».

Nel ‘90 l’esodo dell’Albania verso l’Italia: oggi si pensa di trasferire i migranti nel Paese delle Due Aquile. Che ne pensa?

«È un motivo di riscatto per un popolo che ha sofferto tanto e che ora dà qualcosa in cambio. Lo vedo come un gesto di gratitudine e di umanità».

Veniamo al campo. Sta seguendo il campionato del Bari?

«Sì, sono sempre aggiornato. Non è partito bene, ma secondo me è uno scotto da pagare dopo l’impresa della scorsa stagione. Un anno fa il Bari non era partito per vincere e invece è arrivato a 2 miuti minuti dalla A. Ma un conto è affrontare il campionato come outsider, un conto è partire con delle aspettative. Quest’anno l’asticella si è alzata. Speriamo che la squadra possa rialzarsi nelle prossime partite».

Cosa manca per la svolta?

«Penso che l’organico sia competitivo. A gennaio mi aspetto qualche accorgimento del ds Polito. Ma non immagino rivoluzioni, le basi ci sono. Dall’allenatore ai calciatori, passando per la società e l’ambiente. Basta una scintilla e si può scatenare l’inferno. Le potenzialità ci sono per trasformare i mugugni in felicità».

Questo Bari può lottare per la promozione?

«Non credo che sia una squadra capace di poter ambire alle prime due posizioni, ma ai playoff sì. Ci sono squadre più forti del Bari sulla carta, ma in serie B c’è sempre grande equilibrio. Il campionato è imprevedibile e può succedere di tutto».

Su chi punterebbe in vista del girone di ritorno?

«Ovviamente su Sibilli. Sta facendo molto bene. Non pensavo che sin da subito potesse avere un rendimento così buono. Ha qualità e carattere, quello che serve per giocare a Bari, dove c’è grande pressione. Aramu non sta brillando, ma è un valore aggiunto. Menez pure, visto che sta per tornare. Mi piace Nasti: deve crescere, ma a quell’età si può sbagliare. È un giovane che ha le potenzialità e la cattiveria per potersi riscattare».

Lei ha contribuito alla “meravigliosa stagione fallimentare” nel 2014. Come si trasforma un’annata deludente in un sogno?

«Non c’è una ricetta perfetta; il calcio non è una scienza esatta. Ma penso che con il lavoro, la perseveranza, la cura dei dettagli e il carattere si possano affrontare i problemi e risolverli. Noi partimmo senza aspettative e fu più semplice attirare gente. Quest’anno, dovendo vincere per forza, c’è maggiore pressione. La squadra non è allestita per vincere, ma per mettere delle basi, puntando molto sui giovani. Credo sia la cosa giusta, perché bisogna puntare alla A nel momento giusto, quando si è pronti per potersi consolidare nel massimo campionato».

Polito è una sua vecchia conoscenza.

«L’ho conosciuto a Pescara, giocavo in Primavera e ogni tanto mi allenavo con la prima squadra. Un uomo duro, ma con grande carisma e tanti valori. Confido nella sua professionalità, sono certo che possa fare bene».

Ci ripensa mai a quella doppietta in Bari-Novara che regalò ai biancorossi la qualificazione ai playoff?

«La porto nel cuore. Sono orgoglioso di quei momenti, oggi documentati anche in un film. Anche allora fu un questione di rivalsa: riuscimmo a trasformare i problemi in positività grazie alla compattezza dello spogliatoio e dell’ambiente. Se c’è positività i frutti si vedono».

Con le sue gesta si è guadagnato un pezzo di cuore della tifoseria biancorossa, lo sa?

«Mi vengono i brividi. È motivo di orgoglio essere ricordato da una piazza come Bari. Sapere di essere nella storia di questo club è un sogno. Lo è anche aver giocato al San Nicola, uno degli stadi più affascinanti al mondo. L’atmosfera che c’è lì è unica».

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