Bari entra nell’era del Mignanismo: quella fondata dal tecnico genovese è una corrente calcistica innovativa, capace di muoversi con equilibrio tra i colori forti e vivaci di un campionato dall’elevato tasso tecnico ed esaltare, attraverso giochi di luci ed ombre, soggetti “grezzi” diventati protagonisti di magnifiche opere d’autore.
Quello dipinto da Mignani dopo sette giornate di Serie B è un piccolo capolavoro. Inedito nello stile e nella forma. Realizzato con una tavolozza sempre piena di varianti per correggerne e modificarne il contenuto.
Il neo movimento della “scuola genovese” ha saputo trasformarsi nel giro di un anno, passando dall’esasperata filosofia volta al pragmatismo, ispirato dalle esigenze della C, ad un “impressionismo” capace di emancipare la squadra biancorossa attraverso una nuova concezione, proiettandola con coraggio e saggezza verso una realtà del tutto inesplorata.
Tutto questo è il Bari di Michele Mignani. La classifica e le statistiche sono solo la cornice di un lavoro che con il passare delle settimane comincia a prendere forma, plasmando il gruppo capitanato dal professore Di Cesare ad immagine e somiglianza dell’allenatore ligure.
Non solo parole, ma un “realismo” che si fa più bello, diventando spettacolo per gli occhi e per il cuore della gente. La squadra sporca e cattiva della terza serie, con il salto di categoria ha saputo adattarsi perfettamente al nuovo “paesaggio”, facendo dell’esperienza maturata nella scorsa stagione un punto di forza. Atteggiamento, idee e innesti mirati, come fossero punti di luce essenziali per il dipinto, messi a disposizione dal committente dell’opera, Ciro Polito, si stanno rivelando fattori decisivi. Il gruppo già vincente è diventato ormai squadra vera. Come dimostra la storia recente di sette partite, tutte molto diverse fra loro, ma con un tratto comune nello stile: il Bari, a prescindere dal risultato, non è mai stato sopraffatto dal contesto con il quale ha dovuto confrontarsi. E, soprattutto, è riuscito a superare bozze di linee e colori non del tutto convincenti.
Dai contorni pieni di sfumature con Parma, Palermo e Perugia, gare comunque foriere di due ottimi pareggi e una vittoria esterna, si è passati a tratti molto più definiti e chiari nelle prestazioni offerte con Spal, Cosenza e Cagliari. Per arrivare al trionfo di colori offerto con il Brescia. Quest’ultimo da considerare solo come la naturale esaltazione di un soggetto «che non si nasconde», giusto per utilizzare una definizione cara al presidente De Laurentiis.
Gli ultimi 180 minuti sono la prova inequivocabile dell’identità maturata dal Bari: una squadra in grado di annullare e battere l’avversario di turno utilizzando due tecniche di “pittura” eterogenee tra loro, ma entrambe devastanti sul piano del risultato finale. A Cagliari con sagacia tattica e sacrificio, con il Brescia puntando su un concetto di intensità e aggressività portato all’esasperazione, insieme a scelte vincenti. Ciò che non è mai mancato finora, sin dall’esordio in Coppa Italia con il Padova, è stato l’atteggiamento: a dir poco famelico, scendendo in campo sempre con l’obiettivo di togliere ogni respiro a chi è di fronte.
Quelli della Bari del pallone dunque non sono sogni, ma i frutti di un lavoro attento, meticoloso, sin da Roccaraso, coordinato alla perfezione dalla direzione sportiva di Polito. Ora è tempo di lasciar seccare con cura l’olio su una tela ancora troppo fresca per poterla candidare a qualcosa di grande, ed evitare che l’entusiasmo, più che legittimo dopo anni bui e complicati, possa provocare insidiose “sbavature”.