Il suo recupero nel finale è stato determinante per restituire solidità ed equilibrio ai biancorossi nella corsa salvezza: stagione complicata anche per Mattia Maita, 29enne messinese, da oltre quattro anni pilastro del centrocampo del Bari, che tra presente e futuro, si è raccontato a l’Edicola del Sud.
Dalla grande paura, al sospiro di sollievo, come si sente adesso?
«Ho perso 20 kg, è stata una paura troppo grande. Vengo dalla Serie C, so cosa avrebbe significato tornare indietro. È come aver vinto un campionato. La salvezza era troppo importante, per la città, per la società e per la squadra. La retrocessione avrebbe fatto male anche alla nostra carriera. Siamo felici di aver portato la nave in porto».
A Terni un Bari coriaceo, compatto, che forse per la prima volta si è dimostrato davvero squadra: un bel rimpianto pensando a com’è andata la stagione…
«Nessuno pensava ad una finale playout. Ad un certo punto si credeva che saremmo retrocessi. C’è più di qualche rimpianto. Potevamo fare molto di più, almeno per giocarci una salvezza tranquilla».
Riavvolgiamo il nastro. Cosa è successo quest’anno?
«È andato tutto per il verso sbagliato. Ricordo la mia espulsione e quella di Valerio (Di Cesare) nella prima gara con il Palermo. Penso agli infortuni, che ci hanno tolto qualcosa. Tante difficoltà in avvio; i nuovi erano indietro di condizione. Poi si è creata un po’ di negatività, perché tutti, noi compresi, si aspettavano qualcosa di diverso dopo l’anno scorso. Abbiamo cominciato a non fare risultato anche quando l’avremmo meritato, mentre nella stagione precedente raccoglievamo anche più del “dovuto”».
C’è un peccato su tutti?
«Anche noi calciatori abbiamo le nostre colpe. Oltre agli infortuni qualche limite c’è stato. Abbiamo peccato nell’atteggiamento, nel risultato, non abbiamo mai avuto continuità quando serviva. Tante partite avrebbero potuto svoltare la stagione, penso alla gara con la Samp in casa, a quel rigore sbagliato da Sibilli, il nostro salvatore. E invece poi siamo tornati sempre nell’oblio. Ci è mancato quel risultato che poteva darci consapevolezza e fiducia».
Hanno pagato tre allenatori. Lo spogliatoio ha fatto un esame di coscienza?
«Tante volte. Quando le cose vanno male si cerca sempre un colpevole, si dice che non c’è gruppo, compattezza, ma non era così. Abbiamo avuto le nostre difficoltà: per caratteristiche e modo di giocare tante volte non siamo stati messi nelle condizioni di dimostrare il nostro valore. Ma anche il nostro atteggiamento è stato sbagliato, penso ai tanti gol subiti in avvio di gara. La verità è che parlare non serviva a nulla».
Cosa ha rappresentato la svolta?
«La paura, quella che abbiamo provato alla fine, quando c’è stato il cambio con Giampaolo. In quel momento abbiamo capito che eravamo alle porte dell’inferno. Abbiamo sempre pensato a guardare in avanti, mentre il realtà dovevamo guardarci le spalle».
Se tornasse indietro rifarebbe quelle dichiarazioni dopo Bari-Pisa («siamo forti e lo abbiamo dimostrato anche oggi, ci hanno tolto certezze») scaricando le responsabilità su Iachini?
«No assolutamente, volevo far passare un messaggio positivo alla squadra. È successo un caos, ma giustamente, perché conosco la piazza e capisco le reazioni. In quel momento non ho pensato alle critiche, ma che tanti giocatori in difficoltà avessero bisogno di un po’ di forza e consapevolezza, di sentirsi vivi, perché molti compagni non erano abituati a quella situazione».
Parliamo del suo campionato: nel momento in cui si era ritrovato, un nuovo infortunio…
«I miei problemi partono da lontano. Durante la gara dello scorso anno Sudtirol-Bari subì una botta da Folorunsho, quasi mi ruppi l’osso del piede. Da lì ho dovuto gestire gli allenamenti, con mille problemi fisici. Poi si è aggiunto il trauma della finale playoff. Non ero pronto fisicamente quando ho cominciato la nuova stagione, e questo si è visto. Poi c’è stato il primo strappo al polpaccio. Ho vissuto un periodo bruttissimo, perché non mi ero mai fatto male muscolarmente. Dopo il nuovo guaio a Cittadella non c’è l’ho fatta e sono scoppiato a piangere. Alla fine ho stretto i denti, giocando quasi con uno stiramento, perché era fondamentale portare a casa la salvezza. Non mi aspettavo di vivere tutto questo, ma bisogna cancellarlo e ripartire con mille motivazioni».
Quanto è mancato il vero Maita al Bari?
«Quanto è mancato a me stesso… Non sono abituato a stare così tanto tempo fuori, a non essere me stesso. In campo non stavo benissimo, questo mi procurava noia mentalmente. Alla fine ho resettato tutto. Sentirsi bene per un calciatore è fondamentale. Devo lavorare molto in estate e presentarmi a mille in ritiro».
E adesso, come si riparte?
«Non dobbiamo mai più ritrovarci in questa situazione. Una società e un piazza come Bari non meritano un campionato del genere. Non bisogna ricadere negli stessi errori. Bisogna ripartire con tanto entusiasmo e, con l’aiuto dei tifosi, mettere da parte tutto».
Lei ha ancora 2 anni di contratto: è pronto a candidarsi per il futuro o si va verso la chiusura di un ciclo?
«Questo non lo so, è troppo presto per parlarne, bisogna capire tante cose. Vedremo in ritiro e deciderò con il direttore e il presidente. Per ora sono in Sicilia, mi godo un po’ di vacanze con la mia famiglia e la bimba».
Se la sente di spendere due parole per Di Cesare?
«Certo. È un esempio per tutti e per i più giovani. È positivo, in campo dà sempre l’anima. Vederlo giocare ti fa venire voglia di buttare il sangue. È uno spettacolo. Sa quello che vuole fare. A prescindere da ciò che deciderà per me Valerio è stato un esempio di vita. Ha rappresentato una bella sorpresa conoscerlo, viverlo e giocare con lui».