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Bari, da “garante” a regista di una stagione da incubo: l’annus horribilis di Polito

Due sessioni di calciomercato fallimentari; quasi tutti i “nuovi” big bocciati: dal portiere forestiero, «cercato anche di notte», al colpo estivo poi messo fuori lista, fino al costosissimo “re” di gennaio (540mila euro per 5 mesi); tre allenatori “bruciati”, soprattutto a causa della manifesta mediocrità di una squadra costruita male e corretta anche peggio; un…

Due sessioni di calciomercato fallimentari; quasi tutti i “nuovi” big bocciati: dal portiere forestiero, «cercato anche di notte», al colpo estivo poi messo fuori lista, fino al costosissimo “re” di gennaio (540mila euro per 5 mesi); tre allenatori “bruciati”, soprattutto a causa della manifesta mediocrità di una squadra costruita male e corretta anche peggio; un campionato partito con le velleità dell’obiettivo playoff, in barba alle legittime ambizioni di una piazza ferita dall’11 giugno, e culminato oggi in una disperata corsa salvezza; il paradosso di ritrovarsi ai confini dell’inferno pur avendo speso molti più soldi rispetto ad un anno fa (+1,2 milioni dopo gennaio, su un monte ingaggi iniziale di 9,5).

Sono i tratti identificativi dell’esegesi della maledetta stagione del Bari, accompagnati da un dettaglio che non può passare inosservato: nel turbinio dei tre clamorosi ribaltoni in panchina, e del caos che ne è derivato, chi si è assunto la «piena responsabilità degli errori e di tutte le scelte» è rimasto saldamente al comando.

Si tratta del manager dell’area tecnica, Ciro Polito, l’unico ad essere risparmiato dalle contestazioni inscenate dalla tifoseria contro la società, se non dall’ultima gara persa a Como.

I mali nati in estate

Prima una lunga pausa per smaltire la delusione della finale playoff persa. Poi l’agognato incontro tra il presidente Luigi De Laurentiis e Ciro Polito nella sede della Filmauro, il 26 giugno. Quindi il “silenzio radio” del Ds per un’altra settimana, tra voci di un possibile divorzio e tante incertezze sulla nuova stagione, interrotto solo il 3 luglio. Il tutto a pochi giorni dall’avvio di un ritiro che si rivelerà a dir poco inutile, con soli tre innesti, Menez, Nasti e Faggi (una presenza in 19 gare), nonostante la consapevolezza di dover ripartire senza tutti i vecchi pilastri.

I primi campanelli di allarme

Sono suonati in Alto Sangro, dove i biancorossi non hanno disputato neanche un’amichevole degna di nota, e soprattutto il 12 agosto, giorno della figuraccia in Coppa Italia contro il Parma al San Nicola. Uno schiaffo tremendo alla tifoseria, dopo una stagione vissuta con 5 record di pubblico e 110mila spettatori nelle ultime due gare casalinghe.

Capitolo mercato

La sessione estiva della campagna trasferimenti è entrata nel vivo solo un giorno prima del 3-0 subito contro gli emiliani. È Sibilli, unica nota lieta della stagione, ad inaugurare la “passerella”. L’indomani della debacle di Coppa segna l’arrivo dell’erede di Caprile, il brasiliano Brenno, al termine di un’estenuante trattativa, chiusa con l’accordo di un prestito oneroso dal Gremio per 500mila euro e diritto di riscatto fissato a 2 milioni. Ferragosto è il giorno dell’ufficialità di Diaw, presentato come “alter ego” del partente Mr. 17 gol Cheddira. Due giorni dopo ecco Edjouma, proposto come sostituto di Folorunsho. Tre movimenti di peso per gli equilibri della nuova rosa, perfezionati con colpevole ritardo, a ridosso della gara di esordio in campionato contro il Palermo (18 agosto, 0-0). Il giorno successivo al pareggio a reti bianche, macchiato dai gravi infortuni di Menez e Diaw, si registra l’arrivo di Koutsoupias, che nelle intenzioni avrebbe dovuto fare le veci di Benedetti. Tra il 27 agosto e il 1 settembre altra sfilata di nomi più o meno illustri: Frabotta, Achik, Aramu, preso per sostituire l’infortunato Menez, Astrologo ed infine Acampora, trasferimento last-minute, ma «vecchio pallino» di Polito. Niente da fare per l’attaccante centrale (con l’affare Gliozzi sfumato), scelta che i biancorossi pagheranno per tutto il girone di andata.

Il peso, leggero, dei nuovi

Non v’è dubbio che sia l’origine principale dei mali, profondi, del Bari ’23-’24, venuti allo scoperto con il passare delle giornate di campionato. Brenno, Edjouma, Acampora (sparito dai radar), Koutsoupias (anche lui infortunato), Aramu e Diaw (penalizzato da una condizione fisica inaffidabile) non sono mai stati all’altezza degli ex Caprile, Folorunsho, Benedetti, Cheddira e Antenucci, calciatori che hanno composto l’ossatura vincente della squadra stoppata ad un centimetro dalla promozione in A. Idem per gli innesti “pesanti” di gennaio Lulic e Puscas, più che deludenti e arrivati in pessima condizione. Tuttavia non si può non evidenziare la leggerezza di aver allestito una squadra fatta di troppe “scommesse” e ben poche certezze. Non è un caso che l’ex Mignani, in più di un’occasione, avesse sottolineato proprio questo aspetto, puntando soprattutto sull’equilibrio di squadra, ben consapevole dei limiti evidenti sul piano tecnico.

I ribaltoni

Si parte con Mignani, fresco di rinnovo al 2025, come primo atto della stagione, e cacciato dopo 10 gare (9 punti e una sola sconfitta a Parma). Quindi il «maestro» Marino, ad oggi con la media punti più alta (1,2), esonerato dopo 14 partite, immediatamente dopo la finestra invernale di mercato calibrata sul suo calcio. Ed infine Iachini, allontanato a causa del peggiore rendimento stagionale e di un caos tattico senza precedenti. (8 punti in 10 partite, media 0,8, con 2 punti nelle ultime 8 uscite di campionato).

Le bocciature illustri

Prima Puscas, scavalcato dal Primavera Colangiuli, e poi il portiere titolare Brenno. Paradigmi di scelte audaci, che nei fatti hanno sconfessato alcune delle principali operazioni di mercato. A fine 2023 era toccato già ad Acampora, ridimensionato anche da Marino e oggi con 4 presenze nelle ultime 17 gare. Clamoroso il caso del reintegro di Aramu: estromesso a gennaio dalla lista over per fare posto a Guiebre, anch’egli bocciato da Iachini, e diventato l’oggetto della “provvidenza” dopo i nuovi guai di Menez.

Leggerezza anche dialettica

Dal ritenere la squadra «sulla carta più forte di quella dell’anno scorso», all’esaltare l’inoffensiva batteria di «7 attaccanti», arrivando infine a condotte poco ortodosse per un dirigente che ricopre un ruolo così prestigioso e delicato nel Bari.

La società

Paga lo scarso interventismo e l’aver centralizzato numerose mansioni ad un uomo solo, sulla base di estrema fiducia e gratitudine, meritate per il lavoro portato a termine quasi egregiamente fino allo scorso anno. La richiesta avanzata da dieci “senatori” al direttore sportivo di procedere all’ennesimo cambio della guida tecnica è però l’emblema dell’autorevolezza e della forza di cui Polito gode ancora oggi nel Bari. “L’autogestione” sancita dalla promozione in prima squadra di Giampaolo è l’ultimo atto di un percorso che a fine anno sarà oggetto di una profonda valutazione. La speranza è che allora possa esserci ancora qualcosa da cui ripartire.

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