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Le donne pagano la crisi soprattutto se hanno figli

Tutti gli indicatori segnalano che le donne hanno pagato il costo più caro della pandemia. Nei primi dieci mesi della crisi, su 444 mila posti di lavoro persi 312 mila erano occupati da donne. L’ultimo rapporto del Censis, la crescita dell’occupazione avvenuta nel 2021 ha riguardato quasi esclusivamente gli uomini. Solo un terzo di esse…

Tutti gli indicatori segnalano che le donne hanno pagato il costo più caro della pandemia. Nei primi dieci mesi della crisi, su 444 mila posti di lavoro persi 312 mila erano occupati da donne. L’ultimo rapporto del Censis, la crescita dell’occupazione avvenuta nel 2021 ha riguardato quasi esclusivamente gli uomini. Solo un terzo di esse riguarda le donne. Tra i paesi europei l’Italia è quello che riporta le statistiche peggiori: il tasso di occupazione femminile, stando ai dati registrati fino ad agosto 2021, è al 48,9%. La media europea è del 62,7%.

Circa un terzo delle donne occupate optano per un contratto part time. A volte è una scelta. Spesso, invece, una opzione subita dalle scelte aziendali. Si chiama part-time involontario e nel 2021 ha riguardato nel 2021 per il 17,9% di loro e solo per il 6,5% gli uomini. Un altro dato molto significativo, rilevato sempre dall’Istat, è la percentuale delle donne con figli piccoli che lavorano: al Sud lo fa solo il 35,3%, la metà rispetto al Centro, 62,7%, e al Nord, 64,3%. %). Inoltre nelle coppie tra i 25 e i 44 anni, in cui entrambi i partner sono occupati, solo il 37,4% del lavoro domestico e di cura è svolto dall’uomo (30,1% al Sud). Anche questo dato dimostra come nelle famiglie italiane ci sia uno squilibrio che rende complicato per la donna conciliare la vita privata con il lavoro. Sono ancora una volta i figli, però, a “tagliare le gambe” alle ambizioni occupazionali: nel 2021, le donne tra i 25 e i 49 anni sono occupate nel 73,9% dei casi se non hanno figli, mentre lo sono nel 53,9% se ne hanno almeno uno di età inferiore ai 6 anni (circa l’1% in meno rispetto al 2020).
Una donna guadagna meno di un uomo
È questa l’altra grande discriminazione che emerge osservando i numeri. Non solo il divario tra i redditi supera spesso il 10%. Confrontando i redditi le differenze sono lampanti: 24.759 euro annui contro 17.156 euro per le donne. Nel settore privato gli uomini arrivano a percepire fino al 44% in più delle colleghe. Una differenza che pesa anche al supermercato: i prodotti più acquistati dalle donne costano mediamente di più di quelli maschili (fonte Federconsumatori).
Poche donne nelle istituzioni
La realtà che si vive nel lavoro è rispecchiata quasi fedelmente nelle istituzioni. Tranne laddove la parità di genere è stata imposta per legge, ad esempio nella Regione Calabria dove la rappresentanza in Consiglio è al 50% femminile, gli altri numeri non lasciano spazio a dubbi. Se nel Parlamento europeo si arriva al 39,5% di donne, in quello italiano ci si ferma al 36,2%. Numeri ancora più impietosi emergono dall’analisi dei consigli comunali: 31,7% e solo cinque prime cittadine su 133 comuni medio-grandi. Considerando invece solo gli incarichi pubblici più importanti (Corte costituzionale, il Consiglio superiore della magistratura, le diverse Authority e il corpo diplomatico) quelli ricoperti da donne sono il 20%. Nel Consiglio regionale pugliese, si contano solo sette donne elette, su un totale di sessanta.
I giovani ai margini
Oltre le donne sono i giovani, e ancora di più le giovani donne, a rimanere ai margini del mondo del lavoro. In base agli ultimi dati diffusi dal Censis in collaborazione con l’Ugl, i giovani fino ai 29 anni guadagnano il 40% in meno dei lavoratori over 55 e le donne il 37% degli uomini. L’Italia ha il triste record europeo di disoccupazione tra gli under 40 (32% di occupati contro una media continentale del 41%). È dal Sud, però, che arrivano i numeri più allarmanti. La percentuale di chi non lavora da Roma in giù è al 35%, contro il 15% al Nord. Una crisi che travolge anche il sistema della formazione. La quota dei ragazzi, infatti, che hanno abbandonato precocemente gli studi è più elevata nel Mezzogiorno: nel 2021, secondo i dati Istat, sono il 19,5% nelle Isole (stabile rispetto al 19,9% del 2020) e il 15,3% nel Sud (in calo rispetto al 17,5% del 2020). In Sicilia, Puglia, Calabria e Campania la quota è particolarmente alta tra i maschi, oltre il 18% (rispettivamente 24,8%, 19,6%, 18,6% e 18,4%). Alla Puglia, inoltre, va il triste primato italiana della percentuale più bassa di laureati, il 19,1% dei giovani lo scorso anno (va meglio alla Basilicata con il 24,7%). Quasi il 20% dei ragazzi pugliesi, infine, non studia, non lavora e non si forma per trovare il proprio ruolo all’interno della società.

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