A conclusione di uno studio scientifico – pubblicato sulla rivista “Nutrients” e realizzato dal gruppo di ricerca del professor Antonio Moschetta, ordinario di Medicina interna all’Università degli studi di Bari “Aldo Moro” – è stato realizzato un questionario, disponibile gratuitamente online, grazie al quale ciascuno può valutare se il proprio stile di vita è aderente alla Dieta mediterranea e ricevere consigli su cosa fare per ridurre il rischio cardiovascolare.
Lo studio è stato finanziato dal progetto Pnrr “On-foods” e ha portato all’elaborazione di un nuovo “score” di rischio per analizzare non solo la tipologia e le quantità di cibi assunti ma anche le abitudini relative allo stile di vita, come il momento della giornata in cui vengono consumati i pasti principali, l’attività fisica, l’assunzione di alcolici.
«Si tratta – spiega Moschetta – di abitudini che non erano mai state prese in considerazione dai precedenti questionari che valutavano l’aderenza alla Dieta Mediterranea e che invece hanno un impatto importante nella patogenesi dell’obesità e delle malattie che ne derivano, sul piano cardiovascolare, metabolico e oncologico».
Lo score prevede un risultato che va da meno 13 a 25 punti: più è basso il punteggio, minore è l’aderenza alla dieta mediterranea, maggiore sarà il rischio di adiposità addominale. «Abbiamo previsto punteggi diversi in base alle quantità in cui assumiamo frutta, verdura, carne, pesce, pasta, burro, cereali, carboidrati, alcolici ma anche delle domande relative al momento della giornata in cui li consumiamo e alla frequenza con cui facciamo esercizio fisico. Non possiamo pensare che lo stesso pasto abbia gli stessi effetti su due persone che hanno un consumo energetico diverso o che una stessa quantità di pasta venga metabolizzata e ‘immagazzinata’ allo stesso modo in due momenti diversi della giornata. Infatti, le cattive abitudini a tavola si ripercuotono sull’accumulo di tessuto adiposo viscerale e proprio questo grasso è responsabile di inviare messaggi ormonali a tutto l’organismo e di causare quelle alterazioni responsabili di malattie cardiovascolari», dice Moschetta.
Lo studio è stato condotto per circa 3 anni fra i pazienti della Clinica Medica Universitaria “C. Frugoni” del Policlinico di Bari (diretta dal professor Carlo Sabbà), ed è basato su casi concreti: più di 350 soggetti con età media di 50 anni.
Il primo autore dello studio, il dottor Carlo De Matteis, conclude: «L’alimentazione deve essere sempre più al centro della terapia medica, come primo argine alle malattie e come strumento per vivere meglio».