In calo l’abbandono scolastico ma la Puglia non sorride: il 14% dei giovani lascia gli studi

Nel 2022 in Puglia 14 giovani tra i 18 e i 24 anni ogni cento hanno abbandonato gli studi. Un dato in miglioramento rispetto al 2019, in calo del 3,1 per cento rispetto al 2019. Nonostante il trend positivo resta un numero preoccupante di poco migliore della media del Mezzogiorno (15,1%). È quanto si evince dal report diffuso ieri della Cgia di Mestre che fotografa la condizione dei ragazzi suddividendo i dati su base regionale. Ne esce fuori un quadro che, nel complesso, resta desolante.

L’abbandono scolastico dei giovani, d’altronde, è un problema serio che ha conseguenze significative sia a livello individuale che sociale.

Ben 465 mila ragazzi solo nel 2022, infatti, hanno rinunciato agli studi a livello nazionale. Il confronto internazionale resta desolante. Sebbene la “fuga” dai banchi di scuola sia in calo in tutta Europa, tra i venti paesi dell’Eurozona nel 2022 l’Italia era al terzo posto per abbandono scolastico dei giovani (11,5 per cento sulla popolazione corrispondente). Solo la Spagna (13,9 per cento), rileva lo studio, e la Germania (12,2 per cento) presentavano un risultato peggiore del nostro. La media dell’area Euro era il 9,7 per cento L’andamento, comunque, è migliorativo non solo per la Puglia ma anche per il Sud, con numeri in calo del 3 per cento rispetto a tre anni prima.

Un segnale importante per il Mezzogiorno visto che nel Nord Ovest, nel Nord Est e nel Centro il miglioramento si ferma, rispettivamente, allo 0,8, allo 0,1 e al 2,4 per cento. Certo, è solo un primo passo e il punto di partenza tra le regioni è molto diverso.

L’abbandono di qualsiasi percorso di formazione per mezzo milione di giovani ha conseguenze economiche non indifferenti per l’intero sistema Paese. È la stessa Cgia di Mestre, infatti, a rilevare l’impatto di questi dati sulle piccole e medie imprese, con molte che avranno sempre più difficoltà a trovare personale qualificato da assumere. «A queste specificità che caratterizzano il nostro mondo giovanile aggiungiamo anche la crisi demografica in corso e la “rivoluzione digitale” ormai alle porte», scrivono i ricercatori della Cgia.

«Tutto ciò avrà delle ricadute pesantissime anche per le nostre imprese. Con sempre meno giovani e per una parte importante di essi con un livello di istruzione insufficiente, per tantissime Pmi trovare del personale preparato da inserire nei processi produttivi sarà una mission impossibile», sottolineano nella ricerca. Un problema che si riflette anche sugli stessi ragazzi che, senza un’adeguata formazione e qualifiche, è difficile che riescano ad accedere accedere a lavori ben retribuiti e gratificanti. Di conseguenza, possono trovarsi intrappolati in lavori precari, mal pagati o senza prospettive di crescita professionale.

Una condizione coerente con un altro dato che emerge dall’indagine della Cgia di Mestre: l’Italia, rispetto ai principali Paesi dell’Unione Europea, nel campo dell’istruzione/formazione scolastica presenta un basso numero di diplomati e di laureati, soprattutto in materie scientifiche.

«Se in tempi ragionevolmente brevi non riusciremo a recuperare il gap con i nostri competitor corriamo il pericolo di un impoverimento generale del sistema Paese», scrivono i ricercatori nell’indagine diffusa ieri.

Una questione che va di pari passo con l’elevata povertà educativa che, secondo gli esperti, va di pari passo con la povertà economica.

«Le cause che determinano la “fuga” dai banchi di scuola sono principalmente culturali, sociali ed economiche», scrive la Cgia di Mestre. «I ragazzi che provengono da ambienti socialmente svantaggiati e da famiglie con un basso livello di istruzione hanno maggiori probabilità di abbandonare la scuola prima di aver completato il percorso di studi che li porta a conseguire almeno il diploma di maturità», conclude il dossier.

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