I geni a rischio di schizofrenia cambiano la loro relazione con i geni partner man mano che il cervello matura, raggiungendo un’associazione stabile nel cervello adulto. Questo potrebbe spiegare perché i sintomi cambiano nel tempo anche se i geni di rischio non cambiano. Inoltre, sono stati scoperti per la prima volta 23 geni che si associano costantemente ai geni di rischio e che in precedenza non erano noti per il loro ruolo nella malattia.
Sono i risultati di uno studio condotto dai ricercatori dell’Università degli studi di Bari “Aldo Moro” e del Lieber Institute for Brain Development di Baltimora, pubblicato sulla rivista Science Advances.
I ricercatori hanno studiato come cambia durante l’arco della vita l’espressione dei geni associati al rischio di schizofrenia in quattro diverse regioni cerebrali. Gli studiosi hanno esplorato l’ambiente molecolare dei geni che sono stati associati al rischio di schizofrenia, definiti geni di rischio, identificando il modo in cui collaborano con altri geni nelle cellule cerebrali. I geni cooperano in reti o sistemi molecolari coordinati per far funzionare le cellule. Si ipotizza che l’insieme di queste “cooperative”, chiamate “reti di co-espressione genica”, contribuisca a trasformare il rischio genetico in biologia del rischio. I modelli computazionali generati in questo studio descrivono come la co-espressione genica cambi nel tempo.
Poiché i modelli di rete di co-espressione sono derivati da soggetti sani, essi parlano della normale funzione di geni ritenuti essenziali per la schizofrenia. La presenza costante di questi geni partner suggerisce che essi forniscono l’ambiente molecolare necessario ai geni di rischio per far sì che le cellule si comportino in un modo che porta alla malattia. Quando pensiamo al nostro ambiente, ci vengono in mente parole come dieta, stress, stile di vita e inquinamento. Tuttavia, per le cellule del nostro corpo, l’ambiente è puramente molecolare.
Le cellule non sono consapevoli dell’equilibrio tra lavoro e vita privata, della dieta o dell’inquinamento, anche se ne vengono a conoscenza attraverso i cambiamenti nel loro ambiente molecolare prodotti dai geni che rispondono a questi fattori. Gli autori dimostrano anche che queste relazioni geniche sono preservate in neuroni coltivati in vitro da cellule staminali umane, il che offre l’opportunità di testare la co-espressione genica in laboratorio. L’importanza di questa scoperta è che questi partner potrebbero essere nuovi bersagli terapeutici, potenzialmente in grado di prevenire l’effetto dei geni di rischio.
La ricerca è il risultato di un partenariato Ue-Usa finanziato dalla borsa di studio Marie Skłodowska-Curie “Flourish” (#798181) assegnata all’Università degli Studi di Bari Aldo Moro, che ha permesso all’autore principale Giulio Pergola, professore associato nel settore M-PSI/02 (Neuropsicologia e Neuroscienze cognitive) di visitare il Lieber Institute for Brain Development per due anni. L’istituto di Baltimora e gli autori senior Daniel R. Weinberger e Alessandro Bertolino insieme ad altri hanno fornito materiale e finanziamenti aggiuntivi attraverso le sovvenzioni NIH 5R21MH117432-02, PRIN 2017K2NEF4, Horizon Europe Seeds 2021 (Next Generation EU – MUR D.M. 737/2021 codice S68), il Pnrr codice CN00000013 e la Regione Puglia per il progetto: “Identificazione precoce del rischio di psicosi”.