No, a Brindisi no, non c’è posto. Allora Francavilla, un pronto soccorso così piccolo che ci si muove a fatica fra barelle e accompagnatori: 22 ore di attesa lì dentro, in un viavai incessante di ambulanze e casi gravi, prima di arrivare finalmente ad un letto, nel Reparto di Ortopedia, e altri quattro giorni prima di essere operata.
Comincia così, dopo una banale caduta al mare, l’odissea di una donna barese in vacanza a Specchiolla, vittima due volte. Sì, perché una frattura al femore, soprattutto a chi ha superato i 70 anni, è un problema non da poco, che va risolto entro 48 ore. Ma l’iter sanitario nel quale si è imbattuta la signora va oltre i due giorni. I fatti: la donna, la chiameremo Francesca, è al mare e mercoledì 3 agosto perde l’equilibrio e cade.
La gamba fa male, si sospetta una frattura del femore, viene chiamato il 118. «Sono arrivati a tempo di record – racconta sua figlia Antonella – Sono stati bravissimi, rassicuranti e professionali». Ma la via crucis doveva ancora cominciare. «Non l’hanno portata all’ospedale di Brindisi – prosegue – perché hanno detto che non c’era posto, chiuso. Così l’hanno trasferita a Francavilla Fontana, in un pronto soccorso che è un vero e proprio delirio».
Medici che passano da un paziente a un altro, pochi e in corsa contro il tempo. «Nei tre quarti d’ora trascorsi mentre attendevo nuove, all’esterno del pronto soccorso, sono arrivate ben 6 ambulanze quasi tutte con casi molto gravi». Finalmente, dopo 22 ore senza antidolorifici (il protocollo medico non prevede la somministrazione se prima non vengono terminati gli esami per la diagnosi), il ricovero in Ortopedia. «Credevo la operassero subito – prosegue sua figlia – So che bisogna farlo entro 48 ore dal trauma, ma mi hanno detto che c’erano altri pazienti in attesa. Erano arrivati prima di mia madre».
Una sala operatoria che non funziona a pieno regime per mancanza di personale, gli interventi che devono concludersi entro le 14 e, dall’altro canto, una lista di “casi” che necessitano di urgenze. «C’è un solo medico su tre, che dovrebbero essere di turno – racconta il fratello di un altro paziente ricoverato a Ortopedia – E per parlargli bisogna andare entro le 14 perché poi non ti fanno più entrare. Giustissima la limitazione all’accesso, ma per sapere le condizioni di mio fratello sono dovuto andare più volte prima di capire qualcosa».
Inutile e ingiusto, sia chiaro, puntare il dito contro chi ci lavora, tra mille difficoltà: «Siamo pochissimi e in grande affanno – dicono i medici – Abbiamo fatto già numerose segnalazioni ma ci ignorano. Più di così non possiamo fare altro».