Tornano i viaggi della speranza che affossano il Mezzogiorno: così il Sud fa ricco il Nord

La mappa della mobilità sanitaria è esattamente sovrapponibile a quella della ricchezza economica delle regioni italiane: dove circola più denaro ci sono più servizi che la tassazione nazionale, invece, dovrebbe rendere uguali per tutta la popolazione.

La cosa più grave è che le due parti del paese si stanno allontanando, con un Nord che attrae sempre più utenti a scapito del servizio sanitario meridionale.

Nel 2021, la mobilità sanitaria interregionale in Italia ha raggiunto un valore di 4,25 miliardi di euro, ben il 27 per cento in più di quella del 2020 (3,3 miliardi), anno in cui l’emergenza pandemica Covid-19 ha determinato una netta riduzione degli spostamenti delle persone e dell’offerta di prestazioni ospedaliere e ambulatoriali. Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto raccolgono il 93,3 per cento del saldo attivo, cioè l’attrazione di pazienti provenienti da altre regioni, mentre il 77 per cento del saldo passivo (la “migrazione” dei pazienti dalla regione di residenza) si concentra in Calabria, Campania, Sicilia, Lazio, Puglia e Abruzzo.

È questa la fotografia che emerge dai dati diffusi ieri dalla fondazione Gimbe. Le tre Regioni con maggiore indice di fuga generano debiti per oltre 300 milioni di euro ciascuna: in testa Lazio (12 per cento), Lombardia (10,9) e Campania (9,3), che insieme compongono quasi un terzo della mobilità passiva. Il restante 67,9 per cento della mobilità passiva si distribuisce nelle rimanenti diciotto regioni e province autonome.

«Oltre un euro su due speso per ricoveri e prestazioni specialistiche finisce nelle casse del privato: esattamente 1.727,5 milioni di euro (54,6%), rispetto a 1.433,4 mln (45,4%) delle strutture pubbliche. In particolare, per i ricoveri ordinari e in day hospital le strutture private hanno incassato 1.426,2 mln mentre quelle pubbliche 1.132,8 mln – sottolinea il report Gimbe – Per le prestazioni di specialistica ambulatoriale in mobilità, il valore erogato dal privato è di 301,3 milioni, quello pubblico di 300,6 milioni».

Una analisi che arriva alla vigilia dell’approdo in Senato della riforma sull’Autonomia differenziata che secondo il Gimbe rischia di acuire le disparità tra le regioni più ricche e quelle più povere. «La Fondazione Gimbe – afferma il presidente Cartabellotta – ribadisce quanto già riferito nell’audizione in prima commissione Affari Costituzionali del Senato: la tutela della salute deve essere tolta dalle materie su cui le regioni possono richiedere maggiori autonomie». Queste le motivazioni, riportate anche nel report, che spingono la fondazione a bocciare la riforma: a gravissima crisi di sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale che impedisce di mettere in campo risorse per colmare le diseguaglianze in sanità; l’indebolimento ulteriore del Sud in seguito alle maggiori autonomie già richieste da Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, che invece potenzieranno le proprie performance sanitarie; le Regioni del Sud che essendo tutte (tranne la Basilicata) in Piano di rientro o commissariate, non avrebbero nemmeno le condizioni per richiedere maggiori autonomie in sanità. «I flussi economici della mobilità sanitaria scorrono prevalentemente da Sud a Nord – si legge nell’approfondimento – e in particolare verso le regioni che hanno già sottoscritto i pre-accordi con il Governo per la richiesta di maggiori autonomie. Infatti, Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto “cubano” complessivamente quasi la metà dei crediti della mobilità e il 93,3% del saldo di mobilità».

Complessivamente l’erogazione di ricoveri e prestazioni specialistiche dalle strutture private in mobilità ha un “peso” molto diverso tra le varie Regioni, indicando un indicatore proxy dell’offerta e della capacità attrattive del privato accreditato. Oltre al Molise (90,5%), superano il 60% del valore della mobilità erogato dalle strutture private la Puglia (73,1%), la Lombardia (71,2%) e il Lazio (64,1%). Viceversa, in altre regioni le strutture private erogano meno del 20% del valore totale della mobilità per ricoveri e prestazioni ambulatoriali: Valle D’Aosta (19,1%), Umbria (17,6%), Sardegna (16,4%), Liguria (10%), Provincia autonoma di Bolzano (9,7%) e Basilicata (8,6%). «Questi dati – sottolinea il presidente della Fondazione Gimbe – confermano un gap enorme tra il Nord e il Sud del Paese, inevitabilmente destinato ad aumentare se verranno concesse maggiori autonomie alle più ricche Regioni settentrionali. Ecco perché la Fondazione ribadisce la richiesta di espungere la tutela della salute dalle materie su cui le Regioni possono richiedere maggiori autonomie. Perché, se così non fosse, la conseguenza sarebbe la legittimazione normativa della “frattura strutturale” Nord-Sud, che compromette l’uguaglianza dei cittadini nell’esercizio del diritto costituzionale alla tutela della salute, aumenta la dipendenza delle Regioni meridionali dalla sanità del Nord e assesta il colpo di grazia al Servizio Sanitario Nazionale».

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