«Non ci sono soldi». Dritto al punto l’assessore alla Sanità regionale, Rocco Palese, che sulle liste d’attesa non le manda a dire.
«Individuare nelle prestazioni in Alpi la radice del problema che riguarda le liste d’attesa, è un errore. Noi non possiamo impedire ai cittadini di rivolgersi a un medico di loro fiducia e in ogni caso sono due attività che non influiscono l’una sull’altra». E allora? «Servono i medici – premette Palese -, che non abbiamo, per risolvere il problema delle liste d’attesa. Non essendoci medici a sufficienza dobbiamo poter utilizzare il personale in servizio con prestazioni aggiuntive, ma per fare questo non abbiamo risorse e serve una disposizione nazionale. Confidiamo nel nuovo Governo perché le Regioni non possono fronteggiare ulteriori spese per il personale».
Il piatto piange, dunque, e pare di essere nel classico caso del gatto che si morde la coda: per aumentare il numero di prestazioni sanitarie bisogna pagare gli straordinari ai medici in organico, ma non ci sono le risorse e alla fine a pagare il prezzo sono i cittadini che rinunciano a curarsi o, chi può, aprendo i cordoni della borsa.
Le cause che determinano le liste di attesa sono in questi giorni oggetto di valutazione da parte della commissione regionale Sanità perché è in discussione la proposta di legge firmata da Fabiano Amati che in sintesi punta il dito sull’attività intramoenia. In qualità di presidente federale della Cimo-Fesmed-Puglia è stato audito Arturo Oliva che ha individuato quelle che, dal suo punto di vista, sono le cause di un problema di fatto strutturale.
«Le liste d’attesa derivano essenzialmente dall’accumulo di prestazioni sospese in costanza di pandemia – ha detto Oliva – laddove, giustamente, la precedenza assoluta al contrasto a quel morbo aveva fatto premio rispetto a qualunque altro intervento terapeutico o curativo. E il suggerimento del Servizio consiliare si muove proprio in quella direzione, nel senso cioè di osservare il fenomeno nella sua effettiva genesi e di dare risposte organizzative a partire dagli strumenti legislativamente già previsti, ma non attuati». In più Oliva contesta il principio contenuto nella proposta di legge Amati secondo il quale si può «incentivare economicamente il personale (la cui libera professione sia stata sospesa) allo svolgimento dell’attività istituzionale, ma soltanto laddove il disallineamento sia dovuto a carenze strutturali o di organico». Lo contesta perché viola il contratto nazionale di lavoro e la legge sui turni di riposo a garanzia dell’efficienza della prestazione.
Insomma servono soldi e medici.