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Stop alla diffusione delle varianti del Covid: lo studio dell’Uniba per “ingannare” la proteina Spike

Come contrastare efficacemente la diffusione delle varianti di Sars-CoV-2 lo insegna uno studio condotto per tre anni da un gruppo di ricercatori dell’Università di Bari, guidato nell’occasione dal professor Ciro Leonardo Pierri. Gli studiosi pugliesi hanno concepito un metodo ingegnoso per ingannare la proteina “Spike”, che come un abito riveste la superficie del virus Sars-CoV-2…

Come contrastare efficacemente la diffusione delle varianti di Sars-CoV-2 lo insegna uno studio condotto per tre anni da un gruppo di ricercatori dell’Università di Bari, guidato nell’occasione dal professor Ciro Leonardo Pierri.

Gli studiosi pugliesi hanno concepito un metodo ingegnoso per ingannare la proteina “Spike”, che come un abito riveste la superficie del virus Sars-CoV-2 pronto ad attaccare le cellule umane. Il termine è traducibile in “chiodo”, perché agisce quasi come un arpione che aggancia e avvicina le cellule per poi infettarle, indebolirle e ucciderle al fine di replicarsi.

L’idea è di distrarre queste proteine con un’esca, capace di attirarle (distogliendone l’attenzione dalle cellule) e di neutralizzarle rapidamente. Il ruolo di calamita è proprio dei nanobody, la cui dimensione ridotta consente di raggiungere e colpire i punti cruciali delle Spike. I nanobody agiscono come dei piccoli anticorpi, ma lo fanno ancora meglio. Il lavoro è stato condotto con il sostegno dei fondi Pnrr e dell’Associazione Italiana Ricerca sui Mitocondri (AIRM, www.mitoairm.it) e ha coinvolto anche i professori Anna De Grassi, Mariateresa Volpicella, Lorenzo Guerra, Luna Laera e Angelo Onofrio del Dipartimento di Bioscienze, Biotecnologie e Ambiente, oltre alla professoressa Gabriella Elia del Dipartimento di Medicina Veterinaria.

«La proteina Spike – afferma Ciro Pierri, originario di Carosino in provincia di Taranto – agisce come una chiave per entrare nelle nostre cellule, attraverso i suoi recettori. Questi ultimi, per completare la metafora, ne diventano la serratura che ne favoriscono l’accesso. Così facendo il materiale genetico del virus comincia a moltiplicarsi e l’infezione può avere inizio». Il punto di partenza dello studio è questo e va avanti da qualche anno. «A tempo di record, nel 2020 – prosegue Pierri – abbiamo posto le basi di questa ricerca, individuando uno o più possibili anticorpi o nanobody capaci di inibire l’azione delle Spike. Nel 2021 abbiamo indagato sulla mobilità di queste proteine, sempre alla famelica ricerca di interazioni con cellule umane. Nel 2022 abbiamo creato uno schema che ci permettesse di predire sia la trasmissibilità sia la virulenza delle nuove varianti. Successivamente ci siamo chiesti: come potremmo migliorare l’efficacia degli anticorpi? In un anno circa di duro lavoro abbiamo trovato quelli maggiormente compatibili con le Spike, aumentandone pure l’affinità». Dunque è stata architettata una trappola vera e propria in cui il virus è cascato senza battere ciglio. «Attualmente – riprende Pierri – nel mondo ci sono molte ricerche che studiano l’azione degli anticorpi, ma seguono metodologie e approcci differenti. Solitamente si opera in due maniere o attraverso la selezione di anticorpi sintetici disponibili in laboratorio, il cosiddetto “Phage display”, o recuperando il sangue di pazienti convalescenti per isolare gli anticorpi più adatti. Noi, invece, partiamo da un’interazione Spike-anticorpi, il meccanismo chiave-serratura, fotografato ai raggi X. In questo modo possiamo rafforzare questa interazione».

Questo gran lavoro ha avuto un meritato premio per Pierri e gli altri ricercatori. «La nostra è la prima ricerca di questo genere a livello mondiale. È una meravigliosa soddisfazione, perché lo studio – conclude Pierri – è stato pubblicato sul Journal of Medical Virology, la seconda più importante rivista mondiale che si occupa di virologia. Questo lavoro sarà utile anche per affrontare altre situazioni come la lotta ai batteri e ai virus e la resistenza agli antibiotici». Dopo questo primo successo, il gruppo di ricerca barese proseguirà gli studi secondo un iter ben definito. Infatti sono stati assegnati dei progetti, anche se i fondi non sono ancora disponibili, per sintetizzare gli anticorpi e dimostrare anche in vitreo la loro efficacia, prima di passare alla sperimentazione. In un anno circa si potrebbe arrivare alla produzione di un eventuale farmaco da testare in clinica.

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