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Vaccino e screening, due armi per battere il cancro all’utero

Il concetto principale è uno: anticipare la malattia, cercarla prima che si manifesti, quando è ancora silente e curabile con interventi minimamente invasivi. «Con gli screening oncologici ci rivolgiamo a persone sane o almeno apparentemente tali», spiega Chiara Antonia Genco, responsabile dell’unità operativa di screening per il carcinoma della cervice uterina. Il target In questo…
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Il concetto principale è uno: anticipare la malattia, cercarla prima che si manifesti, quando è ancora silente e curabile con interventi minimamente invasivi. «Con gli screening oncologici ci rivolgiamo a persone sane o almeno apparentemente tali», spiega Chiara Antonia Genco, responsabile dell’unità operativa di screening per il carcinoma della cervice uterina.

Il target

In questo ambito, la popolazione target è rappresentata dalle donne tra 25 e 64 anni. È in questa fascia d’età che si concentra il rischio medio di sviluppo della malattia. Un rischio che può essere intercettato per tempo grazie alla conoscenza della storia naturale del tumore: «Il carcinoma della cervice ha un’evoluzione molto lenta, può impiegare dai 10 ai 15 anni per diventare invasivo», dice Genco. Un tempo prezioso che consente ai sistemi sanitari, laddove funzionanti ed efficienti, di intervenire prima che compaiano i sintomi. Perché quando i sintomi si manifestano è spesso troppo tardi: la malattia è già in fase avanzata.

I due strumenti

La chiave di volta, allora, è doppia: prevenzione primaria, attraverso la vaccinazione contro il papillomavirus, e prevenzione secondaria, tramite gli screening periodici. Due strumenti che, se ben applicati, sono in grado di modificare in modo significativo la diffusione del tumore. «Nei Paesi dove i programmi di prevenzione sono stati attuati con rigore – sottolinea Genco – l’incidenza del cancro della cervice è scesa sotto i quattro casi ogni 100mila donne. Una soglia che rende questa malattia rara. Altrove, dove la prevenzione è assente o debole, l’incidenza può arrivare fino a 50 casi ogni 100mila. Un abisso».

L’obiettivo

L’Organizzazione mondiale della sanità ha tracciato una rotta ambiziosa: raggiungere entro il 2030 almeno il 90% della popolazione femminile con la vaccinazione anti-Hpv e con gli screening mirati. Un traguardo che non è solo tecnico, ma culturale: abbattere la barriera dell’indifferenza, dello scetticismo, dell’attesa del sintomo. «Troppo spesso sentiamo dire: “Non ho sintomi, sto bene”. Ma quando il sintomo arriva, è già tardi. Il nostro lavoro è proprio quello di cercare chi potenzialmente svilupperà la malattia. Nello specifico, le donne Hpv positive», evidenzia Genco. Essere positive al virus non significa avere un tumore, ma vuol dire appartenere a un gruppo a rischio. Il virus è molto diffuso, ma nella maggior parte dei casi viene eliminato naturalmente dall’organismo. Soltanto in una minoranza dei casi l’infezione persiste, e tra queste una piccola parte può evolvere in carcinoma.

Il valore degli screening

Ecco perché gli screening giocano un ruolo determinante nel mappare il rischio e intervenire subito, prima dell’irreparabile. «Abbiamo gli strumenti per sconfiggere il cancro della cervice: vaccini efficaci, test affidabili, terapie precoci – ribadisce Genco – ma tutto questo è inutile se non raggiunge le persone giuste, al momento giusto. Serve consapevolezza, adesione e fiducia. Solo così potremo davvero trasformare questa malattia in un ricordo raro e remoto».

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