Lo screening mammografico non è solo un esame: è un investimento nella salute pubblica, nella dignità delle donne, nella sostenibilità del sistema sanitario. In Puglia, il cambiamento è stato avviato nel 2009 e riorganizzato nel 2021. E i numeri lo confermano, come spiega Alessandra Gaballo, responsabile dell’unità operativa di screening mammografico.
Quali sono i risultati dello screening in Puglia?
«Il dato più evidente è la netta differenza tra il primo e il secondo biennio dello screening. Nel 2021-2022, quando abbiamo iniziato, abbiamo riscontrato moltissimi tumori al seno già in fase avanzata, grandi, spesso superiori ai 2 centimetri, con linfonodi positivi e grading elevato, quindi molto aggressivi. Oggi, nel secondo biennio, i tumori diagnosticati sono per la maggior parte sotto il centimetro, con un grading più basso e con minore coinvolgimento linfonodale. Questo significa trattamenti meno invasivi e una qualità della vita decisamente migliore per le pazienti».
Cosa comportava trovare tumori così avanzati all’inizio?
«Significava dover affrontare cure molto più aggressive. Le donne arrivavano tardi. Il tumore cresceva indisturbato, diventando sempre più pericoloso».
Adesso, quindi, cosa è cambiato concretamente per le pazienti?
«Molte donne non devono più fare la chemio. I tumori sono piccoli e si può intervenire con chirurgia conservativa, a volte addirittura estetica: si rimuove solo un quadrante della mammella. Questo non solo migliora la qualità della vita, ma riduce significativamente la mortalità. Un tumore di basso grado, diagnosticato in fase precoce, può diventare solo un brutto episodio».
Qual è stata la chiave di questo cambiamento?
«L’organizzazione. Dal 2021, la Regione Puglia ha standardizzato lo screening seguendo protocolli condivisi e basati sulle linee guida delle società scientifiche. Usiamo solo tecnologia avanzata: tutte le mammografie sono in tomosintesi, cioè in 3D, e abbiamo investito nella formazione di medici e tecnici per garantire la qualità. Tutte le donne vengono poi indirizzate alle Breast Units, dove trovano specialisti dedicati solo alla patologia mammaria».
I dati di partecipazione confermano questo successo?
«Sì, quest’anno abbiamo raggiunto un’adesione del 58,11%, con oltre 138mila donne che hanno effettuato la mammografia su 252mila invitate. È un numero in crescita, e ci avviciniamo alle regioni più virtuose come l’Emilia-Romagna o la Toscana. Questo significa che le donne cominciano a fidarsi, e capiscono l’importanza della prevenzione».
Lo screening ha effetti anche sul sistema sanitario?
«Assolutamente. Lo screening segue un binario parallelo alla prevenzione spontanea, destinata alle donne più giovani, che devono fare controlli annuali. Se le donne in fascia screening seguono il percorso organizzato, si liberano posti per le giovani, per le quali il tumore è spesso più aggressivo e la prognosi peggiore. In Puglia, grazie a questa riorganizzazione, stiamo già vedendo una riduzione delle liste d’attesa. E poi c’è il valore più importante in assoluto: oggi, il 98% delle donne ha una prognosi favorevole».