Al Sud si vive mediamente un anno e mezzo in meno rispetto al Centro-Nord. E non c’è da meravigliarsi, se si pensa che da Roma in giù ci sono 700mila persone in povertà sanitaria, la mortalità oncologica è di oltre un punto più alta e la diffusione degli screening mammografici è nettamente inferiore. È una fotografia impietosa quella che Svimez, in collaborazione con Save the children, scatta alla sanità nazionale, ormai dilaniata da disuguaglianze che diventerebbero ancora più profonde nel caso in cui l’autonomia differenziata, attualmente al vaglio del Parlamento, dovesse diventare realtà.
Sotto la lente d’ingrandimento dell’associazione è finita innanzitutto la spesa sanitaria che in Italia, tra il 2010 e il 2022, è calata del 2% a differenza di quanto avvenuto in Germania e in Francia, dove risulta aumentata rispettivamente del 38 e del 32%. La pandemia non ha cambiato lo scenario: la spesa è lievitata di poco meno di un punto percentuale durante l’emergenza, ma poi è diminuita di mezzo punto. Con l’attuale legge di bilancio, il governo Meloni ha stanziato 11,2 miliardi aggiuntivi per il Fondo sanitario nazionale e cioè tre miliardi per il 2024, quattro per il 2025 e 4,2 per il 2026. Secondo Svimez, però, i tre miliardi in più stanziati per l’anno in corso non sono sufficienti a compensare l’incremento dei prezzi, col risultato che la spesa reale si riduce di 30 euro pro capite.
E questo è un danno soprattutto per quel milioni e 600mila italiani in povertà sanitaria, cioè costretti a rinunciare a controlli e terapie per motivi economici. Nel Mezzogiorno sono addirittura 700mila le persone che non possono permettersi i farmaci: si tratta, per lo più, di famiglie povere, ultra75enni e stranieri. A essere economicamente insostenibili sono l’acquisto di medicinali, nel caso degli anziani, e le spese odontoiatriche, per quanto riguarda le famiglie con figli. Il fenomeno non esclude Puglia e Basilicata, dove i nuclei in povertà sanitaria sono rispettivamente il 10,2 e l’11,8% del totale, mentre al Centro-Nord questo valore non supera mediamente l’8 (eccezion fatta per il Piemonte dove si tocca l’11,9).
E allora non meraviglia nemmeno il fatto che, da Roma in giù, la mortalità oncologica sia più elevata rispetto al Nord. Degli uomini residenti al Sud, il 9,6% muore; questo dato si attesta all’8,3 nel Centro e nel Nord-Ovest e al 7,6 nel Nord-Est. Situazione sostanzialmente identica se si analizza la mortalità oncologica con riferimento alle donne: al Sud è dell’8,2%, nel Centro del 7,4, nel Nord-Ovest del 7,2 e nel Nord-Est del 6,6.
Il risultato è presto detto: nel Mezzogiorno si vive un anno e mezzo in meno rispetto al Nord. L’aspettativa di vita per i meridionali è di 79,5 anni per gli uomini e 83,9 per le donne; nel resto del Paese oscilla da 80,8 a 81,1, nel caso degli uomini, e da 85,1 a 85,4 se si considerano le donne.
Insomma, Svimez fotografa un’Italia a due velocità. E, in questo contesto, l’obiettivo dell’equità sembra messo a rischio dal progetto di autonomia differenziata recentemente approvato dal Senato e destinato a passare al vaglio della Camera. Ddl Calderoli alla mano, infatti, tutte le Regioni a statuto ordinario potrebbero chiedere il trasferimento di funzioni, risorse umane, finanziarie e strumentali ulteriori rispetto ai livelli essenziali di assistenza in diversi ambiti: gestione e retribuzione del personale, regolamentazione dell’attività libero-professionale, accesso alle scuole di specializzazione, politiche tariffarie, valutazioni di equivalenza terapeutica dei farmaci, istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi. «La concessione di ulteriori forme di autonomia – spiega Luca Bianchi, direttore di Svimez -potrebbe determinare ulteriori capacità di spesa nelle Regioni ad autonomia rafforzata, finanziate dalle compartecipazioni legate al trasferimento di funzioni e, soprattutto, dall’eventuale extra-gettito derivante dalla maggiore crescita economica. Tutto ciò determinerebbe un’ulteriore differenziazione territoriale delle politiche pubbliche».
Di che cosa ha bisogno, dunque, la sanità? Secondo Svimez, la ricetta deve prevedere l’incremento degli stanziamenti di spesa a livello nazionale e la modifica del metodo di riparto del Fondo sanitario nazionale che attualmente dà troppo spazio al criterio demografico e che invece dovrebbe essere basato su indicatori socio-economici legati agli effettivi bisogni di cura. Altrimenti, di qui al 2080, il Sud perderà altri otto punti di finanziamento, col Nord e il Centro che invece incasseranno rispettivamente il 6,7 e lo 0,3% in più.