Oltre 11 milioni di euro è quanto investe l’Asl Bari grazie ai fondi europei per le azioni a contrasto della povertà sanitaria nell’ambito del Programma nazionale di equità nella salute (Pnes) che coinvolge, in Italia, 38 aziende sanitarie di sette regioni italiane: Puglia, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Sardegna e Sicilia, individuate per rafforzare i servizi sanitari e renderne più equo l’accesso.
Il piano di interventi dell’Asl Bari è costituito da sette progetti per un ammontare complessivo di 11 milioni e 146.961 euro.
L’attenzione è puntata in modo particolare sull’area del contrasto della povertà sanitaria, in cui l’Asl Bari svilupperà per un periodo di cinque anni (dall’ottobre 2024 al dicembre 2029) attività che mirano a concretizzare iniziative capaci di ridurre le barriere di accesso ai servizi sanitari e sociosanitari per le persone vulnerabili dal punto di vista socio-economico, mediante il paradigma della sanità pubblica di prossimità, dell’inclusione attiva, dell’integrazione sociosanitaria e di comunità.
«La Puglia non intende lasciare indietro nessuno», commenta il presidente Michele Emiliano. Come Regione, aggiunge, «siamo fortemente impegnati su tutte le aree di intervento previste dal Programma nazionale di equità nella salute, non solo con gli importanti progetti per il contrasto alla povertà sanitaria, ma anche con quelli relativi al potenziamento degli screening oncologici, della salute mentale e della diseguaglianza di genere. Mettiamo al centro le persone e la cura della loro salute, rimuovendo ogni ostacolo e andando fuori dalle strutture sanitarie per risolvere i problemi dove hanno origine, nelle periferie, nei luoghi di vita e di lavoro, che spesso sono invisibili».
Con l’avvio di questi progetti, spiega il direttore generale facente funzioni dell’Asl Bari, Luigi Fruscio, «abbiamo la possibilità concreta di mettere a sistema un patrimonio di esperienze in tema di “medicina di prossimità” a sostegno delle fragilità e delle marginalità, basti pensare alle vaccinazioni per i migranti e i senza fissa dimora, oppure all’ambulatorio ginecologico inclusivo per donne con bisogni speciali e migranti».