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Medicina, il neurologo Logroscino: «Cultura e IA possono salvare la mente» – L’INTERVISTA

Una mente protesa fin da subito all’astrattismo e alla progettazione del bello: il futuro del piccolo Giancarlo Logroscino sembrava già scritto, cioè diventare un architetto. Niente affatto, il cervello umano è l’organo più complesso del nostro organismo e oggi quel ragazzo che voleva fare un mestiere creativo è professore ordinario di Neurologia all’università “Aldo Moro”…
Giancarlo Logroscino è ordinario di Neurologia all’università di Bari ma ha fatto ricerca e insegnato anche alla Columbia University

Una mente protesa fin da subito all’astrattismo e alla progettazione del bello: il futuro del piccolo Giancarlo Logroscino sembrava già scritto, cioè diventare un architetto. Niente affatto, il cervello umano è l’organo più complesso del nostro organismo e oggi quel ragazzo che voleva fare un mestiere creativo è professore ordinario di Neurologia all’università “Aldo Moro” e direttore del Centro di malattie neurodegenerative e invecchiamento celebrale presso la Fondazione “Cardinale Panico” di Tricase. Un curriculum con dottorati prestigiosi in giro per il mondo, come quello in Epidemiologia alla Columbia University di New York e, ancora, il titolo di professore associato alla Harvard University dal 2002 al 2008. Dall’America, dove ha vissuto per diversi anni, all’Italia non ha mai smesso di far ricerca ricevendo riconoscimenti internazionali.

Professore, ma non voleva sognare ad occhi aperti?

«Sì e proprio per questo la mia risposta psicologica è stata quella di rapportarmi alla razionalità, al mondo reale. La medicina mi sembrava la scelta più adatta. La decisione di iscrivermi a questa facoltà la presi durante l’estate della maturità».

E come mai la neurologia?

«Grazie a un incontro che mi è rimasto nel cuore: Rodolfo Amprino, un professore eccellente, piemontese, severo e rigoroso, era un partigiano e veniva dal gruppo di lavoro di Torino dove faceva parte anche Rita Levi Montalcini. Erano gli anni ‘70 e lui a Bari, portatore anche di valori etici, mi fece innamorare del sistema neurologico. Ricordo che con i gessetti disegnava alla lavagna ciò che da lì a poco avrebbe illustrato».

Professore, le sue ricerche si sono concentrate su Alzheimer, Parkinson, sclerosi laterale, demenza fronto-temporale. È fisiologico con l’avanzare dell’età incorrere in questo declino?

«Sono frequenti, patologiche, ma non inevitabili. Ci sono persone anche di 100 anni mentalmente lucide».

E come mai allora per alcuni questa condanna?

«È fortemente correlata a stili di vita sbagliati.

Che cosa consiglia?

«La dieta mediterranea con l’assunzione di frutta, verdura, legumi, pesce e carni bianche. Niente dolci, carne rossa al massimo una volta alla settimana, praticare attività fisica fin da giovani e anche in età avanzata passeggiare, almeno mezz’ora al giorno. Avere un sonno buono è un elemento fondamentale, sette, otto ore e con una qualità ottimale per svegliarsi riposati. Poi in negativo c’è il fattore ambientale con l’esposizione all’inquinamento che aumenta le probabilità dell’insorgere delle malattie. Importante è anche avere un buon udito e buona vista così come controllare i valori del sangue. In ultimo, tenere in uso il proprio cervello con una rete di connessione sociale: è un organo con un’enorme plasticità e suscettibile alle stimolazioni».

L’istruzione e la cultura?

«Nel tempo fanno la differenza. Le dico che ci sono cervelli disastrati ma che funzionano benissimo perché attingono alla riserva di una vita condotta con stili positivi, una sorta di tanica di benzina».

Sul tema diagnosi e farmaci a che punto si è?

«Grazie alle tecnologie ci siamo evoluti moltissimo e da 3-4 anni siamo in grado, con un semplice prelievo plasmatico, di dire se il paziente ha in corso una patologia tipo Alzheimer nel sistema nervoso centrale. La diagnosi “biologica” ha permesso di fare passi da gigante nel campo della sperimentazione farmacologica. Negli Stati Uniti, ultimamente, sono stati approvati due farmaci rivoluzionari ed entro la fine di luglio aspettiamo che la Commissione europea ne approvi almeno uno».

E il cervello connesso all’intelligenza artificiale?

«Questa ha un valore enorme per la diagnosi e per capire ciò che succederà. È la base della medicina personalizzata, “sartorializzata”, a misura del singolo paziente e il futuro è questo. La utilizziamo per cercare di arrivare, con informazioni diverse, a una sintesi e a una diagnosi eziologica di malattia».

Lei si allena tre volte a settimana, tra corsa e palestra, e legge molto: quale libro ha sul comodino?

«“Knife” di Salman Rushdie, lo scrittore indiano che fu accoltellato durante un convegno. Continua a scrivere libri bellissimi».

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