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Medici del Policlinico di Bari formano dottoresse a Raqqa: al centro la salute delle donne siriane

I dottori del Policlinico di Bari, grazie a un progetto di telemedicina, stanno formando alcune operatrici sanitarie che operano nei campi profughi di Raqqa, in Siria. Al centro del progetto c'è la salute della donna e i medici baresi stanno approfondendo argomenti come i metodi contraccettivi, la prevenzione dei tumori, l'importanza delle vaccinazioni, la gestione…

I dottori del Policlinico di Bari, grazie a un progetto di telemedicina, stanno formando alcune operatrici sanitarie che operano nei campi profughi di Raqqa, in Siria.

Al centro del progetto c’è la salute della donna e i medici baresi stanno approfondendo argomenti come i metodi contraccettivi, la prevenzione dei tumori, l’importanza delle vaccinazioni, la gestione delle infezioni, il supporto psicologico per donne e bambini.

«Questo programma è nato dalla convenzione tra Citel e Ciheam per promuovere la cooperazione tra i popoli, con l’obiettivo di migliorare la salute e il benessere delle donne siriane», spiega il professor Angelo Vacca, direttore dell’unità operativa di medicina interna “Baccelli” e direttore del Centro interdipartimentale della ricerca in telemedicina (Citel) dell’Università di Bari.

Il progetto è frutto di una stretta collaborazione con il Comitato sanitario di Raqqa, che ha fornito indicazioni sui temi prioritari da trattare. Il programma, approvato dal Ciheam, è stato progettato per fornire consulenze mediche a distanza tramite televisite e teleconsulti.

«Le sessioni educative – spiega Vacca – sono interattive, grazie al supporto di un traduttore siriano-inglese, e sono riservate esclusivamente alle dottoresse per rispettare le sensibilità religiose locali».

Le lezioni sono tenute dai medici dell’unità operativa Marialuisa Marozzi e Federica Albanese, secondo un calendario prestabilito.

«Questo progetto dimostra l’utilità della telemedicina nell’abbattere le barriere geografiche e culturali, fornendo un supporto sanitario alle donne in un contesto di emergenza umanitaria e contribuendo al miglioramento della salute delle comunità locali», conclude Vacca.

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