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Manca un terzo dei medici. L’allarme parte da Brindisi

Stato di emergenza per i pronto soccorso della Asl di Brindisi: i sindacati dei medici chiedono la revoca immediata del provvedimento, ma la situazione della carenza di specialisti è drammatica in tutta la Puglia. Intanto Fp Cigl Medici, Anaoo-Assomed, Aaroi Emac, Fvm, Cimo, Fesmed, Cisl medici, Fassid, Uil Fpl hanno utilizzato toni fermi per richiamare…

Stato di emergenza per i pronto soccorso della Asl di Brindisi: i sindacati dei medici chiedono la revoca immediata del provvedimento, ma la situazione della carenza di specialisti è drammatica in tutta la Puglia. Intanto Fp Cigl Medici, Anaoo-Assomed, Aaroi Emac, Fvm, Cimo, Fesmed, Cisl medici, Fassid, Uil Fpl hanno utilizzato toni fermi per richiamare Asl Brindisi e Regione a rivedere il provvedimento ossia la nota assessorile che “autorizza a porre in essere tutte le azioni utili a fronteggiare la situazione emergenziale per il solo periodo necessario al superamento della grave criticità”. I sindacati dubitano che spetti all’assessorato regionale dettare disposizioni organizzative di quel tenore, ma non esitano a ritenere illegittima la disposizione. La richiesta della Asl di Brindisi è mossa dai numeri al Perrino di Brindisi, al Camberlingo di Francavilla Fontana, all’Ospedale di Ostuni mancano i medici. In servizio ce ne sono solo 13 (solo sette di ruolo) a fronte dei 45 previsti dal Piano Triennale del fabbisogno del personale. E non basta. Dei sette medici a tempo indeterminato, uno andrà in pensione in questo mese, un altro è assente per malattia lunga, uno è direttore del Pronto soccorso di Ostuni. Fra i rimanenti quattro, tre hanno limitazioni dell’attività lavorativa riconosciute dal medico competente o usufruiscono dei benefici della legge 104/92. Ma i sindacati contestano perché: «Non si comprende fra le ipotesi richiamate dalla ASL Br, per quale motivo, per l’assegnazione al PS dei medici in non esclusività di rapporto, la ASL chiederebbe la disponibilità mentre per i medici in esclusività di rapporto si invia una perentoria disposizione di servizio. Da ultimo, ma non perciò di secondaria importanza, resta il potenziale pregiudizio cui, operando come preteso, si espongono l’utenza, da un lato, e i professionisti dall’altro. Il PS, spesso impropriamente utilizzato, costituisce pur sempre la porta di ingresso più frequentata per accedere ai servizi di diagnosi e cura. Sarebbe di per sé intollerabile prendere atto del fallimento dell’alleanza utenza/servizio a causa della oggettiva incapacità dell’organizzazione di fornire risposte tanto doverose quanto inadeguate e della soggettiva specifica competenza di chi è chiamato allo svolgimento di compiti che non sono quelli per cui è stato assunto, che lo espongono a rischio di potenziali errori e richieste di risarcimento non coperti dalle polizze assicurative».
La situazione è così critica e a certificarlo sono i numeri. La sanità pugliese, ma in generale quella meridionale non possono competere con l’efficienza di regioni come il Veneto e l’Emilia Romagna (non a caso meta dei cosiddetti viaggi della speranza), punto di riferimento per i parametri delle performance sanitarie avendo un numero di abitanti più o meno pari a quello della Puglia. La differente qualità è determinata dalla differenza del numero di personale impiegato nei servizi sanitari regionali. Basta esaminare i dati Agenas, organo tecnico-scientifico del servizio sanitario nazionale che svolge attività di ricerca e di supporto per il Ministro della salute, delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano.
Per la Puglia si contano di 6.346 fra medici e odontoiatri, mentre gli infermieri sono 15.403 in totale. In Veneto, invece, contano su 7.711 medici e 25.715 infermieri. Ben il 18 per cento in meno di medici e 41 per cento in meno di infermieri, in Puglia. In Emilia Romagna 9.098 medici in servizio, sempre nel 2020 (i dati dalla pandemia sono ancora più penalizzanti per il Sud) e 27.631 infermieri. Nel confronto con la Puglia si tratta di un meno 31 per cento di medici e di un meno 45 per cento di infermieri. Basta questo confronto per spiegare molte inefficienze: prima fra tutte quella relativa alle liste d’attesa.
Oltre al personale in servizio negli ospedali deve essere preso in esame quello in forze sul territorio: medici di medicina generale (meglio noti come medici di famiglia) e i pediatri di libera scelta. In un biennio (2019-2021) il dato costante è il decremento dei professionisti attivi causa pensionamenti e difficoltà di sostituzione perché le scuole di specializzazione non abilitano tanti specialisti e medici di medicina generale quanti ne servono al sistema sanitario regionale. Il quadro, da qualsiasi prospettiva si guardi, è desolante.

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