Indi Gregory, la sua malattia fu scoperta nel 2013 dai ricercatori dell’UniBa

Si chiama “aciduria combinata D,L-2-idrossiglutarica”, ed è una malattia neuro-metabolica caratterizzata da un accumulo nelle urine di D-2-idrossiglutarato e L-2-idrossiglutarato, due forme speculari di un metabolita prodotto nei mitocondri.

La malattia di Indi Gregory, neonata gravemente malata e al centro di un caso legale fra Italia e Regno Unito, è una malattia genetica causata da mutazioni del gene SLC25A1, che contiene le informazioni per produrre una proteina, il trasportatore mitocondriale del citrato, che nei soggetti sani permette la fuoriuscita dai mitocondri di questo importante intermedio metabolico.

La malattia è stata scoperta appena dieci anni fa da ricercatori dell’Università di Bari in collaborazione con un equipe israelo-palestinese.

Lo afferma l’ateneo barese spiegando, in una nota, che «la malattia si trasmette per via ereditaria ed è recessiva, cioè ha luogo solo quando vengono trasmesse due copie del gene mutato da entrambi i genitori. Pertanto, se entrambi i genitori sono portatori sani di una mutazione nel gene SLC25A1, ogni figlio avrà una probabilità del 25% di essere affetto dalla malattia, del 50% di essere portatore sano e del 25% di essere sano e non portatore della mutazione».

Ad oggi, aggiungono dall’UniBa, «sono stati identificati circa 50 pazienti nel mondo con un quadro clinico variabile che, combinando dati molecolari e clinici in uno studio retrospettivo finanziato da Telethon e pubblicato sul Journal of Inherited Metabolic disease nel 2018, i ricercatori baresi hanno proposto essere associato a livelli variabili di attività del trasportatore del citrato».

Attualmente, proseguono, «per la maggior parte delle malattie mitocondriali non esiste una cura e per alcune mutazioni gravi come quella di Indi, non sono disponibili terapie in grado di rallentare il decorso della malattia. Una speranza è rappresentata dallo sviluppo di terapie geniche».

Con questo obiettivo, il professor Luigi Palmieri, docente ordinario di Biochimica e direttore del dipartimento di Bioscienze, Biotecnologie e Ambiente dell’Università di Bari “Aldo Moro”, e i suoi collaboratori sono attivamente coinvolti nel Centro nazionale di ricerca “Sviluppo di terapia genica e farmaci con tecnologia a Rna” finanziato dal Pnrr di cui l’Università di Bari è uno dei nodi principali.

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