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Il 7,5% dei lucani rinuncia alle cure: «Difendiamo il servizio sanitario pubblico»

Nonostante i ridondanti proclami, il 7,5% della popolazione lucana ha rinunciato nel 2022 a prestazioni sanitarie e cure perché non ha le risorse economiche per permettersi di affidarsi al privato o andare in strutture fuori regione, mentre il saldo della mobilità sanitaria passiva cresce a dismisura toccando i 63 milioni di euro. È il dato…

Nonostante i ridondanti proclami, il 7,5% della popolazione lucana ha rinunciato nel 2022 a prestazioni sanitarie e cure perché non ha le risorse economiche per permettersi di affidarsi al privato o andare in strutture fuori regione, mentre il saldo della mobilità sanitaria passiva cresce a dismisura toccando i 63 milioni di euro. È il dato allarmante che emerge dlla presentazione del sesto rapporto della Fondazione Gimbe sullo stato del servizio sanitario nazionale. «Siamo scesi in piazza a difesa del nostro servizio pubblico nazionale attraversato da processi che ne mettono a repentaglio attività e tenuta, rischiando di disperdere il frutto di quei conflitti degli anni 60 e 70 che hanno segnato il momento di maggiore qualificazione democratica del welfare italiano: la conquista dell’universalismo nell’accesso e nella disponibilità di cure e servizi, l’equità di accesso e uguaglianza, l’uniformità territoriale; il tutto attraverso finanziamenti ottenuti tramite la fiscalità generale progressiva» ha affermanto Giuliana Pia Scarano, segretaria generale Cigl di Potenza.

La spesa sanitaria in percentuale del Pil mostra un trend decrescente dopo il picco toccato durante la pandemia. La novità è che la riduzione si consuma anche in termini nominali: tra il 2023 e il 2024 la spesa è prevista in calo da 134,7 miliardi a 132,9, quasi 2 miliardi in meno, il 6,2% del Pil che scenderà ulteriormente al 6,1% nel 2026. Un rapporto tra la spesa sanitaria e Pil inferiore a quelli precedenti alla crisi sanitaria.

Questo progressivo definanziamento ha prodotto una situazione di crisi che si riversa drammaticamente sulla vita di cittadini, costretti a subire liste d’attesa inverosimili, che minano il diritto costituzionale alla salute e che hanno la loro radicata origine nella cronica carenza di personale, con operatori sottoposti a turni massacranti in un contesto sempre più demotivante e a rischio aggressioni.

Il quadro che emerge dal rapporto della fondazione Gimbe è chiaro e chiama forti assunzioni di responsabilità: bisogna intervenire investendo sul personale, attuando e completando la riforma per lo sviluppo dell’assistenza territoriale.

«Le proposte di rimodulazione del Pnrr. presentate dal governo italiano alla commissione porteranno a 414 case di comunità, 76 centrali operative territoriali, 96 ospedali di comunità e 22 interventi antisismica in meno. Come questa rimodulazione impatterà sulle previsioni dei contratti istituzionali di sviluppo sottoscritti dalla regione Basilicata legati alla missione 6 non è dato sapere», commenta la presidente. Ma una cosa è certa: senza medici ed infermieri, case della salute ed ospedali di comunità rimarranno scatole vuote. Già oggi si fa fatica a mantenere servizi ordinari, si ricomincia a saltare i riposi ferie; d’altronde, rispetto alla media italiana di 2,11 medici ogni 1000 abitanti, la Basilicata si colloca su 1,91 medici ogni 1000 abitanti e le basse retribuzioni rispetto alla media nazionale spingono ad andare verso il privato o altre regioni dove le retribuzioni sono decisamente più elevate.

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