I conti in rosso della sanità pugliese: il risanamento ormai è un rebus. Le strategie delle Asl

Non sarà facile per la sanità pugliese recuperare il buco nei conti da oltre 200 milioni di euro scoperto nei bilanci Asl del 2022. L’altro giorno il governatore Michele Emiliano ha convocato i direttori generali delle aziende sanitarie per istruirli sulle misure di contenimento della spesa da applicare nel 2023 e negli anni successivi.

Ma, come sostengono gli stessi tecnici della sanità, il disavanzo sanitario pugliese è strutturale, tende a replicarsi. E se è vero che il riparto del fondo statale penalizza la Puglia con circa 800 milioni di euro di trasferimenti in meno da Roma rispetto a regioni del Nord equivalenti per popolazione, vero è anche che con i circa otto miliardi di euro l’anno attuali ricevuti da Roma, più di così non si potrà fare. Basti pensare alla spesa farmaceutica con un tetto di spesa “sfondato” per oltre 220 milioni di euro.

Com’è pensabile azzerare tutto quest’anno il surplus di costo sui medicinali in un quadro di partenza immutato? La certezza arriva proprio dall’esperienza del passato. Negli ultimi 15 anni l’assessorato alla salute ha sfornato decine di delibere taglia spesa per limitare l’uso dei farmaci biologici o innovativi, ma anche per imporre la sostituzione del generico al posto delle scatole griffate.

Il tentativo è miseramente naufragato con la spesa per i farmaci che ha continuato a schizzare alle stelle relegando la Puglia nel novero delle regioni canaglia. È stato chiesto ai manager sanitari di bloccare le uscite dal fondo sanitario, i soldi vincolati ai Lea, i livelli essenziali di assistenza, ovvero di usarli solo per l’assistenza e non per investimenti, lavori di ristrutturazione, assunzioni o promozione di personale, acquisto di auto, beni e servizi.

Un elenco di spese extra-sanitarie che l’anno scorso ha toccato circa 76 milioni di euro, il 16% del buco complessivo. È ipotizzabile azzerare questa partita? La risposta è negativa se si valuta l’uso fatto dal Policlinico di Bari che ha prelevato cinque milioni di euro (sui 76 complessivi) dal fondo sanitario vincolato. Due milioni sono stati usati per risanare un padiglione dalla legionella, un milione di euro per acquistare la nuova tac del pronto soccorso, altre spese minori, in media di 1.500 euro l’una, che hanno cubato i restanti tre milioni. Si possono impedire queste spese necessarie? Non rientrano anch’esse, seppur indirettamente, nell’assistenza ai malati. Il gatto che si morde la coda, insomma, così come il caso del payback sui dispositivi sanitari.

Una partita da 240 milioni di euro che la regione Puglia dovrebbe recuperare dai piccoli fornitori ospedalieri pugliesi chiamati a restituire somme fino a tre milioni di euro per azienda. Se ogni impresa dovesse pagare sarebbe costretta a chiudere la saracinesca aprendo a una valanga di contenziosi infinita e finendo per bloccare le forniture di garze, siringhe e macchinari alla rete ospedaliera pugliese.

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