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Bari, al Di Venere il primo impianto di una “clessidra” in un paziente cardiopatico

Più ossigeno al cuore attraverso una "clessidra" posizionata nel seno coronarico che consente anche di alleviare il dolore al petto, sintomo tipico dei pazienti affetti da cardiopatia ischemica cronica. È l’innovativa procedura interventistica applicata, per la prima volta nell'Asl Bari, dagli specialisti della unità operativa complessa di Cardiologia dell’ospedale di Venere, guidata dal dottor Vincenzo…

Più ossigeno al cuore attraverso una “clessidra” posizionata nel seno coronarico che consente anche di alleviare il dolore al petto, sintomo tipico dei pazienti affetti da cardiopatia ischemica cronica.

È l’innovativa procedura interventistica applicata, per la prima volta nell’Asl Bari, dagli specialisti della unità operativa complessa di Cardiologia dell’ospedale di Venere, guidata dal dottor Vincenzo Bonfantino.

L’intervento è stato eseguito su un paziente di 63 anni, in anestesia locale, ed è consistito, spiega Bonfantino, «nell’impianto di uno stent metallico (reducer), a forma di clessidra, attraverso la vena giugulare, all’interno del seno coronarico, cioè la vena che sbocca nell’atrio destro del cuore e che drena tutto il sangue venoso di origine cardiaca, per poi raggiungere i polmoni ed essere ossigenato».

Questa procedura, prosegue, è indicata per «quei pazienti coronaropatici sintomatici, che lamentano angina pectoris nonostante terapie farmacologiche ad alto dosaggio. La presenza di tale sintomatologia – aggiunge -, anche assumendo una terapia farmacologica ottimizzata, determina un aumentato rischio ischemico cardiaco e genera grande frustrazione per i pazienti che non sono quindi in grado di svolgere in serenità le normali attività quotidiane».

L’impianto dello stent reducer in sala è stato coordinato dal dottor Maurizio Turturo, responsabile dell’Emodinamica dell’ospedale barese, e dal dottor Francesco Cassano.

«Grazie alla particolare morfologia dello stent, a forma di clessidra – sottolinea Turturo – si determina un rallentamento del drenaggio venoso cardiaco, permettendo la persistenza nel cuore di sangue ancora ossigenato e quindi il rilascio di una maggiore quantità di ossigeno al muscolo cardiaco. Ciò determina, in un’alta percentuale di casi, la risoluzione dei sintomi anginosi del paziente e il sensibile miglioramento della qualità di vita del paziente».

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