Avere un figlio dopo il cancro: i programmi per preservare la fertilità in un convegno all’Istituto tumori di Bari

Sono sempre di più le gravidanze portate a termine dopo un tumore nonostante molte delle terapie anticancro – come la chemio, la radio, le terapie ormonali – possano compromettere temporaneamente o permanentemente la possibilità di avere figli, tanto per le donne, quanto per gli uomini.

L’argomento, insieme ai programmi di preservazione della fertilità, è stato trattato durante un convegno sull’oncofertilità organizzato all’Istituto tumori “Giovanni Paolo II” di Bari. Obiettivo dell’incontro, la presentazione e la diffusione delle più moderne conoscenze sul rischio di infertilità correlato alle terapie oncologiche, dei programmi di prevenzione dell’infertilità e degli strumenti attualmente disponibili per la preservazione della fertilità.

L’istituto barese, spiega il direttore dell’Unità operativa clinicizzata di ginecologia oncologica, professor Gennaro Cormio, «già dal 2019, ha attivato un ambulatorio per la preservazione della fertilità, guidato dalla dottoressa Erica Silvestris, destinato ai pazienti di entrambi i sessi che stanno per cominciare le terapie oncologiche».

L’ambulatorio prende in carico i pazienti con una valutazione complessiva della loro storia, della loro malattia, con esami e controlli strumentali, già disponibili nell’arco delle 24 ore. «In considerazione dell’urgenza terapeutica di ognuno – afferma Cormio – i pazienti sono indirizzati verso la migliore soluzione di preservazione della fertilità: o attraverso la protezione farmacologica, disponibile qui in Istituto, oppure la crioconservazione, disponibile invece di altri centri di riferimento del territorio».

I pazienti sono seguiti da un team multidisciplinare, composto da oncologi, ginecologici ma anche psicologi, che li assistono e li supportano in ogni momento del loro percorso di cura. L’ambulatorio di preservazione della fertilità, inoltre, ha all’attivo due programmi di ricerca, uno sull’uso delle cellule staminali per la fertilità, l’altro sul congelamento del tessuto corticale ovarico, per il quale speriamo di passare presto alla fase di applicazione clinica.

«La presa in carico del paziente oncologico – aggiunge il direttore generale dell’Istituto tumori di Bari, Alessandro Delle Donne – implica la necessità di non curare solo la malattia del paziente ma anche la sua qualità di vita, presente e futura. Occuparsi di prevenzione dell’infertilità e di preservazione della fertilità per un istituto oncologico è di assoluta priorità, visto che il tumore insorge sempre prima e le gravidanze arrivano sempre più tardi. La scelta di clinicizzare l’unità operativa di ginecologia oncologica, e di avviare dunque una più stretta collaborazione con l’Università, sta dando risultati importanti, sotto il profilo della ricerca ma anche dell’assistenza diretta alle pazienti. La terapia non avrà più il sapore mortifero della malattia, ma porterà la duplice speranza di una rinascita e di una nascita».

L’Istituto tumori, conclude il presidente del consiglio di indirizzo e verifica, Gero Grassi, «si conferma all’avanguardia nei programmi di studio e di ricerca sui temi più sensibili legati alla malattia e alle terapie oncologiche».

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