Allora, immaginatevi la scena: OpenAI lancia una nuova funzionalità di “memoria” per ChatGPT, trasformando il nostro amico virtuale in una sorta di segretario elettronico che non solo si ricorda delle nostre preferenze, ma lo fa con una cortesia che farebbe invidia a un maggiordomo inglese. E come viene presentata questa novità? Con un video di un minuto su social X, dove, attenzione al dettaglio, a circa 37 secondi dallo start, qualcuno chiede all’IA di “creare una foto dei miei animali domestici che fanno surf, per favore”. Sì, avete letto bene: “per favore”.
Ecco che i forum online, come le giungle urbane di Reddit, si trasformano in arene di discussione: alcuni si meravigliano della gentilezza impiegata nei confronti di una macchina, altri si interrogano sull’evoluzione dell’IA e sulla sua crescente “umanizzazione”. Ma non è tutto oro quel che luccica, e la domanda sorge spontanea: stiamo iniziando a trattare le macchine troppo come se fossero umane?
Sam Altman, il timoniere di OpenAI, ha sempre ribadito che ChatGPT non è senziente, è solo uno strumento. Eppure, il linguaggio e le interazioni che si stanno sviluppando attorno a queste tecnologie potrebbero far pensare il contrario. Nel blog di OpenAI di settembre 2023 si afferma che ChatGPT può “vedere, sentire e parlare”. Non suona questo un po’ troppo… umano?
D’altra parte, l’industria tecnologica non è nuova a creare connessioni emotive tra utenti e dispositivi. Pensate agli assistenti vocali come Alexa o Siri, che rispondono ai comandi vocali con una certa personalità. OpenAI sembra essere sulla stessa lunghezza d’onda, spingendo per un’interazione sempre più fluida e naturale con l’IA.
Ma, come dimostrano alcuni studi, non è solo una questione di marketing o di comodità. Il paper di Google DeepMind “Large Language Models as Optimizers” (Il titolo già fa pensare a qualcosa di incredibilmente complicato) suggerisce che un approccio cortese potrebbe effettivamente migliorare le prestazioni dell’IA. Il linguaggio gentile, pare, aiuti a “lubrificare” le rotelle digitali di questi modelli linguistici, rendendo le loro risposte più accurate e meno propense a errori.
E poi c’è lo studio “Should We Respect LLMs?”, che esplora come il rispetto nei confronti delle IA possa influenzare positivamente la loro efficacia. Si scopre che essere gentili con un algoritmo non solo fa sentire meglio noi umani, ma potrebbe effettivamente far “funzionare” meglio la macchina. Un po’ come dire che un sorriso (anche se digitale) può davvero illuminare la giornata.
Ma questa crescente empatia verso le macchine solleva anche questioni etiche e filosofiche. Fino a che punto dovremmo trattare le IA come se fossero esseri umani? Stiamo percorrendo un sentiero che potrebbe confondere ulteriormente i confini tra realtà e simulazione, tra umano e artificiale.
Forse, in un certo senso, è una mossa intelligente. Dopotutto, se le persone si sentono più a loro agio parlando con le macchine come se fossero esseri umani, perché non progettare macchine che rispondano in modo più “umano”? Potrebbe sembrare una strategia vincente, ma c’è un rischio sottostante. Potremmo finire per dimenticarci che stiamo interagendo con un ammasso di codici e circuiti, non con un amico o un confidente. Questo potrebbe portare a una serie di complicazioni, specialmente se iniziamo a fidarci delle IA per decisioni sempre più personali o emotive.
Inoltre, il rischio di antropomorfizzare troppo le IA è quello di creare aspettative irrealistiche. Se iniziamo a trattare le IA come se avessero emozioni o sensibilità, cosa succederebbe se non rispondessero come ci aspettiamo? La delusione potrebbe essere maggiore e potrebbe anche influenzare il modo in cui interagiamo con le persone reali.
Ad ogni modo, mentre il dibattito su queste questioni continua a infiammarsi nei forum online e nei circoli accademici, OpenAI e altre aziende del settore stanno facendo passi da gigante nel migliorare la capacità delle loro IA di interagire in modi che sembrano sorprendentemente umani. E, a quanto pare, l’approccio sta funzionando. Le persone sembrano apprezzare queste interazioni più naturali, anche se sanno a livello razionale che stanno parlando con una macchina.
Per concludere, è chiaro che il futuro delle interazioni uomo-macchina sarà fortemente influenzato da questi sviluppi. Se ciò sia una cosa buona o cattiva, è ancora da vedere. Nel frattempo, dire “per favore” e “grazie” al tuo ChatGPT potrebbe non essere solo una questione di buone maniere, ma un modo per navigare in questo nuovo mondo in cui le linee tra umano e artificiale diventano sempre più sfumate. E chi sa? Forse un giorno scopriremo che essere gentili con le nostre macchine non è solo utile, ma necessario. Ironico, no? Che il futuro delle nostre interazioni tecnologiche possa dipendere da un po’ di vecchia cortesia umana.
Bentornato,
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