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Storytelling corner: cosa (non) fai a Capodanno?

Qualche giorno fa ho provato a chiedere ad una coppia di amici quale fosse stato il loro Capodanno più bello, quello davvero indimenticabile. C'è stato un attimo di silenzio, poi qualche vago ricordo. Lontano. Ho provato a ripetere il gioco con altre persone, e solo in pochissimi casi ho ricevuto una risposta davvero convinta. Si…

Qualche giorno fa ho provato a chiedere ad una coppia di amici quale fosse stato il loro Capodanno più bello, quello davvero indimenticabile. C’è stato un attimo di silenzio, poi qualche vago ricordo. Lontano.

Ho provato a ripetere il gioco con altre persone, e solo in pochissimi casi ho ricevuto una risposta davvero convinta.
Si passa dalle feste con gli amici in casa a quelle in piazza, a Bari o altrove. Qualcuno ricorda un viaggio all’estero, un Capodanno sotto il sole dei tropici o una solenne sbornia in una città europea. Ma sono casi isolati, per la maggior parte delle persone l’ultimo dell’anno è una giornata come tante, con l’aggravante dell’aspettativa altissima.
A me non sono mai piaciuti i bilanci, eppure sembra proprio che non ne possiamo fare a meno: «Quest’anno è stato tutto da buttare, che vada in malora il 2019 e tutte le brutte notizie che ha portato. Ci aspetta un grande 2020», abbiamo detto l’ultima volta, prima di fermare il tempo e cadere in una sorta di vuoto cosmico, uno spazio-tempo indefinito in cui se esiste un futuro non è semplice, ma anteriore: «Quando tutto questo sarà finito».
Lo avevamo imparato a scuola, non pensavamo ci sarebbe tornato utile all’alba del 2022. La buona notizia è che forse possiamo definitivamente abbassare la soglia delle aspettative.
Quelli che abbiamo definito anni brutti, sporchi e cattivi spesso non erano altro che stagioni normali della nostra esistenza. Periodi di delusioni personali superabili, di mancate soddisfazioni professionali, qualche patimento d’amore, magari. Oggi che lo sconforto è collettivo, che ci sembra di rivivere un remake degli anni precedenti, che ci sentiamo tutti meno spensierati oltre che meno giovani, la domanda «Che fai a Capodanno?» sembra davvero desueta. E con essa i vari bilanci di fine anno, mentre i buoni propositi per quello che verrà vengono sostituiti dalla speranza, dal «vediamo che succede», dalla sensazione di essere di nuovo dentro la ruota del criceto a difenderci da un virus che si chiama Covid-19, aggiornato al sistema operativo Omicron dell’anno di (dis)grazia 2022.
Andrà tutto bene, dicevamo. Non fosse altro che per scaramanzia, non ce lo diciamo più per favore. Ci eravamo dimenticati di darci una data, per capire quando, esattamente, sarebbe andato “bene”. Nel frattempo, sarebbe già cosa buona che andasse “un pochettino meglio”. Questi anni ci hanno insegnato che le cose non sono perfette, che il bene della collettività viene prima dei bilanci personali: cosa ce ne facciamo della famosa “libertà individuale” se la gente ha paura di uscire, se i locali sono semi-vuoti, se gli ospedali sono pieni e se l’economia è a rischio? Nulla.
Ecco perché forse dovremmo iniziare a pensare a dei bilanci collettivi: quelli della comunità, della società, del Paese. Sarà un Capodanno sottotono: se l’anno scorso si brindava all’arrivo dei vaccini e alla probabile (ma nei nostri sogni definitiva) sconfitta del virus, quest’anno si guarda con un pizzico di scetticismo all’arrivo di nuove restrizioni, di regole che dividono gli inclusi dagli esclusi, di varianti difficilmente controllabili. Volevamo solo un po’ di spensieratezza, ma non è qui la festa. Non è questa, non per questa volta. Ci dovremo accontentare di brindare con pochi e selezionati amici, o di sottoporci all’ennesima fila in farmacia per poi scoprire che qualcuno, oltre a restare a casa a Capodanno, dovrà innescare quell’effetto domino che costringerà altre persone alla quarantena e farà crescere esponenzialmente i dati delle prossime settimane. Ci dovremo accontentare, ma questo io sotto sotto me lo auguro, di evitare la platealità dei gesti e di esprimere invece un pensiero a bassa voce: un desiderio, una speranza, un bicchiere che tintinna sull’altro con meno foga del solito.
Non sarà tanto importante cosa faremo a Capodanno, ma come lo faremo. E al posto dei propositi personali, stilarne uno collettivo. Inizio io con una speranza: ritrovare la leggerezza perduta. Poi davvero potremo permetterci anche di cantare che sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno. Basta che scendiamo da ‘sta croce, che non se ne può più…
Buon anno a tutti, e che sia quello buono.

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