Tutto è cominciato per una mera questione organizzativa. «Oggi a pranzo non si mangia a casa – dicevano i nostri genitori -, dobbiamo preparare il cenone. Andatevi a fare un giro». E così ci si dava appuntamento in centro, per mangiare un pezzo di focaccia, un panino, un panzerotto. Allora non si chiamava street food, e non era nemmeno una cosa cool; era solo un modo per passare la mattina della Vigilia in centro, con gli amici, e chiudere la pratica degli ultimi regali.
L’abitudine si è presto trasformata in rito. I luoghi di ritrovo, alla fine degli anni Novanta, erano la Ricordi, in via Sparano, dove c’erano delle panchine in ferro e marmo. In quello storico negozio a più piani si poteva entrare a sentire qualche Cd o, in alternativa, andare alla libreria Laterza a comprare un libro. Con il passare degli anni, via Sparano è diventata l’arteria principale della vigilia con il bar “Savoia” usato come punto di ritrovo per ragazzi e ragazze in scooter, nella maggior parte dei casi studenti del liceo o universitari.
Nei primi 2000, Bari ha vissuto una curiosa e dimenticabile deriva stile Ibiza (o Mykonos) con i locali di corso Vittorio Emanuele che sparavano musica house a tutto volume. È stato allora che abbiamo iniziato a brindare e ballare, a trasformare la Vigilia di Natale in qualcosa di più di una attesa. In una festa. Ma non eravamo davvero noi, perché non avevamo ancora conquistato quanto di più caro hanno i baresi: l’affaccio sul mare. E per arrivare lì, devi passare necessariamente dal cuore di questa città: il centro murattiano. piazza del Ferrarese con il “Caffè Nero”, ritrovo di artisti e radical chic, il “Matisse” prima e le “Officine” poi, sono state uno snodo importante verso uno dei luoghi preferiti dei narratori baresi.
Un posto citato nella letteratura, ma anche nei film (“Il passato è una terra straniera”, con Elio Germano e Michele Riondino, ispirato a un romanzo di Gianrico Carofiglio), come il Chiringuito. Qui si è compiuto una sorta di miracolo, un evento mistico che ci ha accompagnato fino alla Vigilia del 2019, l’ultima che abbiamo vissuto. Il clima fuori stagione, il prodigio di una città che a un giorno dal Natale vive una sorta di estate improvvisa eppure attesa. Un rito, appunto.
La Peroni, birra ufficiale dei baresi che sostituisce i brindisi patinati con i flûte di prosecco. Pian piano ci siamo presi tutto il lungomare, fino a locali come il “Faros”, la “Biglietteria”, il bar “Piccolo”. Ognuno con le sue abitudini, ognuno con i suoi giri da fare.
«Che fai, come stai, quanto ti fermi? Ho saputo che hai un nuovo lavoro e che ti stai per sposare. Se non ci vediamo auguri». Baci, abbracci, contatti. Ricordi. «Chi è quella che ti ha salutato?». Cose che ci mancano e sicuramente ci mancheranno anche quest’anno. L’anno scorso abbiamo saltato il turno, come al gioco dell’oca. È stato incredibile pensare ad una città vuota, priva di quella gioia e quel priscio che nessun barese della mia generazione vorrebbe mai perdersi. Quest’anno ancora non si sa: in questi giorni sembra di vivere in uno strano Squid Game in cui il vero obiettivo è non contagiarsi.
Eppure, le strade sono bloccate, si fa fatica a raggiungere il centro persino in monopattino e la Vigilia è nei pensieri di tutti. Si farà, con le mascherine, i distanziamenti, senza baci (questa potrebbe essere una buona idea per una campagna di sensibilizzazione) ma si farà.
Magari succede anche stavolta che dopo due settimane di freddo polare, a Bari sembri agosto. Potrebbe essere un buon viatico per ripristinare il nostro rito. Che l’attesa – che da noi è sempre più celebrata della festa – abbia inizio.