Cancellata la sentenza del Tar, i giudici del Consiglio di Stato danno ragione alla Regione Puglia: le tariffe per le rette dei degenti nelle Rsa devono essere pagate al 50 per cento dalle famiglie.
Il provvedimento
Nei giorni scorsi, i giudici amministrativi di secondo grado, con una sentenza di 61 pagine, hanno annullato quanto stabilito a gennaio scorso dai colleghi di primo grado e ribadito, invece, la legittimità delle delibere con cui la Regione Puglia ha ridotto dal 70 al 50 per cento la quota di compartecipazione del servizio sanitario nazionale per le strutture con livello di assistenza estensiva. La restante parte, cioè l’altra metà, è a carico del paziente.
Il primo grado
A gennaio scorso, si era mossa sui due binari in parallelo, la discussione dinanzi ai giudici del Tar di Bari del ricorso presentato dall’associazione “Welfare a Levante” e da tre Rsa pugliesi (una di Foggia e due di Taranto). A presentare ai giudici della seconda sezione del tribunale amministrativo pugliese i temi del ricorso, l’avvocato Francesco Follieri, in rappresentanza di tutti i ricorrenti, che chiedevano appunto di annullare le decisioni dell’ente, che penalizzerebbero sia gli imprenditori che, e soprattutto, le famiglie degli anziani ricoverati.
Le tariffe
Se da una parte, per un posto letto occupato da un anziano la contribuzione della Regione passa dai 180,80 ai 100,33 euro (anche se ammalato di Alzheimer), dall’altra parte le famiglie degli “ospiti” si trovano ad esborsi molto più consistenti: per un anziano “ordinario” si passa da una spesa mensile di 907,20 euro ad una di 1.505,10. Mentre per un anziano afflitto da Alzheimer, e quindi con bisogni di assistenza diversi, chi pagava 1.170 adesso ne dovrà pagare 1.500,10. Una variazione che, peraltro, ha avuto decorrenza retroattiva. La decisione risale infatti alla delibera adottata nell’ottobre del 2022 che stabiliva per i nuovi ricoveri la quota di partecipazione alla spesa pari al 50 per cento (circa 1.500 euro al mese) e non più al 30 per cento come era avvenuto fino ad allora.
Le motivazioni
“Se la tariffa costituisce la remunerazione delle prestazioni erogate dalle strutture accreditate e la stessa deve quindi essere commisurata ai costi che le medesime strutture devono sostenere ai fini della produzione delle prestazioni assistenziali – scrivono i giudici del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (terza sezione) – è altresì vero, all’inverso, che a diversità di tariffa non può che corrispondere un diverso impegno organizzativo e strumentale delle strutture, al fine di fare fronte, evidentemente, all’erogazione di servizi sanitari caratterizzati da diverso grado di complessità ed onerosità”.
Nel corso del giudizio, sia di primo che di secondo grado, si sono costituiti anche i familiari di anziani ospiti in altre strutture.